Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Se vuoi saperne di più negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi.
Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie. Cookie Policy   -   Chiudi
17/04/2011 11:47:45

Tnt commissariata per mafia

Il Tribunale di Milano ha tolto alla Tnt Global express la gestione di 6 filiali lombarde per un periodo di sei mesi, prorogabili a 12. I responsabili delle sedi dovranno cedere il passo al commissario giudiziario: dopo la richiesta della Procura della Repubblica, documentata dalle risultanze di indagini durate anni, venerdì i giudici hanno deciso che quelle filiali hanno «agevolato l'attività di soggetti indagati per associazione mafiosa» e proceduto all'applicazione della legge 575/65. Nei prossimi mesi, le sei filiali del colosso olandese infiltrate dalla 'ndrangheta (Milano Mega, Milano est, Milano Duomo, Lainate, Pero, Zibido San Giacomo) opereranno perciò sotto tutela del tribunale che, al termine del periodo, valuterà se procedere alla confisca dei beni oppure se restituire alla casa madre le sedi bonificate. Tnt conta in Italia oltre 130 filiali (19 in Lombardia), cui fanno capo 1.200 Tnt Point (227).
La norma applicata dai giudici al gruppo olandese della logistica, con oltre 77mila dipendenti in 200 Paesi, è l'articolo 3 quater della legge 575/1965, quel capitolo sulle «Disposizioni contro la mafia» che ha come scopo, quando ne esistano le condizioni, di colpire le realtà imprenditoriali inquinate, permettendo però al business di proseguire per non danneggiare indotto, clienti, fornitori, ma "ripulendo" le strutture inquinate e ristabilendo procedure aziendali corrette.
Come vuole la prassi, la decisione resa nota ieri dalla Sezione autonoma misure di prevenzione del Tribunale, è giunta dopo una lunga fase di indagini sulle famiglie 'ndranghetiste che operavano attraverso diverse società (Cepi, Autotrasporti Alma, Edilscavi, MFM Group, cooperativa Regina e altre in via di identificazione) come corrieri operativi a Milano e aree limitrofe, certamente tra le più redditizie del Paese, e dunque con fatturati per milioni di euro all'anno. Proprietari o soci di queste piccole e meno piccole imprese di trasporto erano personaggi di spicco della mafia calabrese, in particolare quella più pericolosa del Reggino.
I mafiosi, da oltre vent'anni operativi in Tnt con la società Cepi della famiglia Flachi, grazie all'appoggio di un capofiliale, al peso intimidatorio delle cosche di appartenenza e al ricorso a metodi violenti, si stavano espandendo a ritmo velocissimo guadagnando fette di mercato a scapito dei concorrenti. Nella prima fase dell'attività che ha portato alla decisione su Tnt, quindi, sono stati svolti mesi di intercettazioni, pedinamenti, verifiche contabili che hanno disvelato la profonda infiltrazione 'ndranghetista, fino a culminare nell'operazione del 14 marzo scorso con 35 ordini di arresto.
Tnt possiede e controlla direttamente le filiali attraverso la sua società per azioni italiana con sede in Piemonte, ma poi si serve di piccole società, padroncini e cooperative per svolgere il lavoro sull'intero territorio nazionale. Grazie a questa struttura, evidentemente inadeguata a operare le verifiche necessarie sui fornitori locali, ogni giorno i calabresi percepivano dalla società madre il pagamento di una tariffa per ciascun furgone in servizio, aumentata con i bonus legati al raggiungimento di obiettivi di rendimento, bonus assegnati in autonomia dai capi di ogni filiale. Da qui – dicono in Procura – l'interesse a controllare quante più società possibile nell'orbita delle attività Tnt.
E dai dialoghi telefonici intercettati, oltre che dagli incontri più o meno amichevoli tenutisi in Lombardia e in Calabria, è stato possibile cogliere sia le resistenze delle imprese scalzate dai calabresi , sia la durezza con cui questi ultimi tenevano stretto il loro lucrosissimo business. Fino agli arresti di metà marzo, subito seguiti dalla richiesta della Dda al Tribunale delle misure di prevenzione di mettere sotto tutela le sei filiali.
I giudici hanno dunque verificato che, allo stato dei fatti (ma le indagini proseguono in tutta Italia), gli sbalorditi e anche sprovveduti olandesi nulla abbiano a che fare con logiche affaristico-mafiose. Ma le loro sei diramazioni lombarde sì e hanno perciò applicato la norma a questa porzione italiana del gruppo.