GIUSEPPE D'AVANZO - La Repubblica - 21 Aprile 2011
Chicca Roveri
TRAPANI - Chicca Roveri, la compagna di Mauro Rostagno, non ha avuto modo di apprezzare il rigore del giornalismo italiano. È questo il suo esordio: "Non riuscirò mai a capire la leggerezza con cui fate il vostro lavoro. Non capirò il silenzio che circonda il processo per la morte di Mauro". "Non ci vuole molto per comprendere che l'ostinazione a negare la mano mafiosa nell'assassinio di Mauro vuole nascondere responsabilità che sono ancora oggi vive. Quell'abbozzo di racconto giornalistico che si fa di questo processo è strabico. Da un lato, non "vede" la mafia e non ne parla; dall'altro, con testardaggine vuole tornare indietro a moventi che già sono stati liquidati dal lavoro dei pubblici ministeri di Palermo e nonostante i mille depistaggi. Oggi gli appunti ritrovati di Mauro 1chiariscono di che cosa si stava occupando e chi doveva preoccuparsi per le sue inchieste e mi rende finalmente chiaro che cosa è accaduto e perché mi è accaduto".
Ricordiamo che lei è stata arrestata come complice degli assassini di Mauro nel 1996 e del tutto scagionata dalla procura di Palermo. Ma andiamo per ordine. Cominciamo dagli appunti di Mauro. Che cosa c'è scritto e perché sono così importanti?
"Dico prima del perché sono importanti. Gli appunti svelano quali erano le complicità tra Stato e Mafia che Mauro aveva intuito e intendeva raccontare nelle sue trasmissioni. È rilevante raccontare come e quando Mauro raccoglie quella scheda. Mauro era convinto che Trapani fosse alla vigilia di una "primavera civile". Credeva che magistrati e forze dell'ordine si stavano dando da fare e si attendeva che anche la città si sarebbe presto scossa. Poi, qualche mese prima di essere ucciso, Mauro incontrò - era il luglio del 1988 - Paolo Borsellino e il giudice raffreddò molto il suo entusiasmo. Borsellino gli disse che era in corso una "normalizzazione", al contrario, e le inchieste stavano rallentando. Fece anche i nomi dei responsabili di quell'insabbiamento. Gli fece il nome di un giudice dell'ufficio istruzione, di un dirigente della polizia giudiziaria. È un fatto che Mauro, dopo quell'incontro, annota dei nomi e alcuni nessi con l'omicidio del sostituto procuratore Gian Giacomo Ciaccio Montalto e il potere della famiglia dei Minore".
Quali sono i nomi in quell'appunto?
"L'appunto ha un titolo. "Trapani. Primi anni 80. Questura. Palazzo di Giustizia". Ne semplifico il significato. Il primo nome che si legge è quello dell'allora procuratore Antonio Coci e una freccia che conduce a un altro nome Antonio Costa, sostituto procuratore, e ancora una freccia verso il nome di Ciaccio Montalto, accanto a questo nome c'è scritto "sulle bobine e trascrizioni/la goccia che trabocca per i Minore". Oggi, con il senno di poi, posso capire che cosa c'è in quel sintetico schizzo. Il sostituto Antonio Costa viene intercettato a colloquio con un imprenditore vicino ai mafiosi Minore mentre tratta il prezzo della sua corruzione. Quelle intercettazioni decine e decine di bobine furono dimenticate in Questura e mai il procuratore Coci ne chiese la consegna mentre Ciaccio Montalto, che le aveva autorizzate, fu assassinato".
Che cosa significano per lei queste note?
"Significano che Mauro aveva capito quel che molti sapevano e tutti avrebbero potuto capire: uomini dello Stato proteggevano gli interessi delle famiglie mafiose. Mauro fece di più. Indicò nella loggia massonica "Scontrino" il luogo dove si incontravano mafiosi e cittadini al di sopra di ogni sospetto. Dopo quella trasmissione, Mauro fu convocato dai carabinieri e interrogato dal brigadiere Cannas che incredibilmente nella sua testimonianza al processo non ne ha più il ricordo. Eppure, a verbale, Mauro gli racconta di aver saputo di due incontri di Licio Gelli con il mafioso Mariano Agate. Ma di interrogatori dimenticati e ambigui consigli di magistrati è piena questa storia".
Consigli ambigui?
"Ma sì. Il brigadiere Cannas convoca Mauro per sapere che cosa sa e da chi lo ha saputo. Io stessa, dopo l'assassinio di Mauro, sono stata convocata dal procuratore Coci. Mi raccomandò la segretezza di quell'incontro. "Altrimenti - disse - io e lei corriamo dei rischi". Quando ci vedemmo, mi chiese: "Lei non sapeva che Mauro era in pericolo?". "No", risposi. E il procuratore, di rimando: "A me, invece, erano giunte delle voci...". Come Cannas con Mauro, Coci mi convoca per sapere che cosa io sapessi, che cosa Mauro mi avesse detto. Insomma, tutta Trapani pensava che si trattasse di un omicidio di mafia, ma per otto anni non si è mai indagato in quella direzione e i carabinieri hanno fatto peggio perché fin dall'inizio i carabinieri seguirono la "pista politica" e soltanto quella, al contrario della pista che indicava la polizia che non aveva dubbi sul movente mafioso del delitto. I carabinieri hanno omesso di ricordare il vero. Mi spiego, di riferire elementi di indagine fondamentali che potevano e sono ancora decisivi per l'accertamento della verità. Non voglio nemmeno dimenticare i rapporti denigratori nei confronti di Mauro. Addirittura c'è stato un carabiniere - Mauro era appena morto - che disse: "Gli abbiamo trovato un borsa con dentro eroina, dollari e un laccio emostatico". Un altro carabiniere arrivò a scrivere in un rapporto del maggio del 1989 che Mauro "s'era venduto" al boss della Dc trapanese. Un altro capitano dell'Arma attribuì al giudice istruttore di Milano la convinzione che "l'omicidio Rostagno è nato nel contesto di Lotta Continua": una menzogna smentita dallo stesso giudice".
Ora che il processo è in corso e del delitto sono imputati due mafiosi, si è fatta un'idea delle ragioni di questi depistaggi e quindi anche del suo ingiusto coinvolgimento?
"Mi sono fatta un'idea che ad ogni udienza si rafforza: Mauro è stato ucciso per logiche che non appartengono soltanto al passato, ma sono vive ancora oggi. Se quel che viene ritenuto il capo di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro, è di Trapani e probabilmente si nasconde qui intorno vuol dire che in questa città il potere di Cosa Nostra è ancora robusto e diffuso e, come sempre, protetto anche da chi dovrebbe aggredirlo. Solo così mi posso spiegare il silenzio intorno al processo, la tenacia con cui si rifiuta di considerare la morte di Mauro un delitto di mafia o quelle distorsioni che allontanano l'attenzione dalla mafia per continuare a screditare la mia vita o Lotta Continua o la comunità di recupero dei tossicodipendenti che Mauro aveva fondato. È comodo parlare di me o degli amici di Mauro per non parlare della mafia e della complicità che la tutelano a Trapani".