di SALVO PALAZZOLO - La Repubblica
Saverio Romano
Ha parlato per difendersi: "Io non davo mazzette, finanziavo tanti gruppi politici. Quando reputavo una persona corretta gli sono stato sempre vicino, non mi costava nulla". Ma ha finito per accusare: "Nel 2004, ho consegnato 50 mila euro in contanti a Totò Cuffaro e 50.000 a Saverio Romano". Questo ha confessato il prestanome dei Ciancimino, il tributarista Gianni Lapis, ai magistrati della Procura di Palermo.
E così anche il verbale delle sue dichiarazioni è stato inviato al gip Piergiorgio Morosini, chiamato a decidere sulla sorte della seconda inchiesta che vede indagato il ministro dell'Agricoltura: non c'è infatti solo l'indagine per mafia a impegnare i legali di Romano, ma anche un'inchiesta per corruzione, assieme a Lapis, Cuffaro, Ciancimino e al senatore Carlo Vizzini. La Procura ha chiesto di poter utilizzare le intercettazioni in cui Lapis parla con Romano e Vizzini, che risalgono al 2003-2004: il 3 ottobre, il gip dovrà valutare se inviarle alla Camera e al Senato, per il via libera finale.
Fino a qualche mese fa, c'erano solo le parole di Massimo Ciancimino a sostegno delle accuse di corruzione nei confronti dei politici: "Nel 2004 - ha raccontato il figlio dell'ex sindaco - portai a Lapis 500.000 euro in contanti, all'hotel Borgognoni, a Roma. Mi disse che la somma doveva essere destinata ad alcuni politici locali". Ma gli indagati hanno smentito categoricamente. Il ministro Romano ha aggiunto: "Mai preso neanche un caffè con Ciancimino. E Lapis era solo uno stimato docente universitario, consulente dell'Ircac, di cui diventai poi presidente. Mi avrà cercato una sola volta, per parlare di riforma fiscale".
Ma, adesso, è Lapis che parla dei "finanziamenti" ai politici. E diventa lui il grande accusatore, anche se non ha mai avuto simpatia per i pm di Palermo, che già nel 2007 l'hanno fatto condannare con l'accusa di essere il principale prestanome del tesoro dei Ciancimino. In realtà, davanti ai sostituti Nino Di Matteo, Sergio Demontis, Paolo Guido e al procuratore aggiunto Antonio Ingroia, Lapis puntava solo a scrollarsi di dosso l'accusa lanciatagli da Ciancimino junior, di essere stato il grande corruttore della politica siciliana.
Quando i pm gli hanno chiesto di fare i nomi dei suoi "beneficiati" ha detto: "L'ho fatto con tanti altri gruppi politici, non solo con l'Udc. Inutile che vi faccia i nomi, sono persone corrette". I pm hanno insistito: "Allora perché parla degli esponenti Udc? Non li ritiene corretti?". La risposta è stata sibillina: "Ma questi finanziamenti voi me li contestate, ho l'obbligo di dirvi che non c'è nulla di male".
I pm ritengono invece che quei soldi fossero mazzette legate agli appalti della società Gas, il gioiello di famiglia dei Ciancimino venduto fra il 2003 e il 2004 agli spagnoli della Gas natural. Lapis continua a parlare di "finanziamenti", ma conferma che i soldi arrivavano dal maxi affare. "Avevo fatto delle promesse nel 2001", dice ai pm: "Nel 2004, Salvatore Cintola (deputato Udc - ndr) mi disse: "Sei pronto a pagare?". Lapis parla di una missione serale nella casa palermitana di Cuffaro. "Credo di esserci andato con Romano, ma non vorrei dire una fesseria, non me lo ricordo", precisa. "Ero sicuramente con un'altra persona, non so se era Romano o Cintola, uno dei due era sicuramente".
I magistrati hanno chiesto a Lapis più chiarezza su Romano. Lui ha continuato a essere vago: sostiene di non ricordare se il "finanziamento" all'attuale ministro avvenne "la stessa sera di Cuffaro". Poi, dice: "Comunque, un giorno prima, un giorno dopo". Sulla somma, invece, Lapis non alcun dubbio: "50.000 a Cuffaro e 50.000 a Romano"