16 udienze per avere finalmente giustizia. 16 udienze che aprono uno squarcio su un mistero italiano quasi sconosciuto e sempre più profondo, l’ennesimo rebus siciliano tra mafia e stato. E’ la strage di Alcamo Marina, provincia di Trapani, dove il 27 gennaio 1976 vengono uccisi nel sonno due giovani carabinieri, Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta. Un caso chiuso come un delitto perfetto - un innocente in carcere e i colpevoli fuori - ma pronto a riaprirsi dopo le sedici udienze del processo di revisione per Giuseppe Gulotta, uno dei tre condannati per quell’eccidio.
“Gulotta non c'entra nulla - ha detto venerdì scorso il PG reggino Riva - abbiamo il dovere di proscioglierlo da ogni accusa e restituirgli la dignità che la giustizia gli ha indebitamente tolto''. A meno di clamorose sorprese tra poche settimane Gulotta, che ha trascorso vent’anni in carcere da innocente, verrà assolto. Con la sua uscita di scena, si riapre il giallo sulla strage. Un rebus in cui appaiono oscuri traffici di armi, uomini in divisa e mafiosi in mezzo ad una lunga scia di sangue iniziata negli anni ’70 - dal giornalista Mario Francese agli omicidi di Peppino Impastato e del colonnello Giuseppe Russo - e che arriva fino alla trattativa stato mafia del ’92-’93, sfiorando alcuni ufficiali dei carabinieri.
Una strage minore
Le indagini sulla strage di Alcamo furono pesantemente inquinate fin dall’inizio. Gulotta insieme agli altri due condannati ( riparati da due decenni in Sudamerica) è stato torturato per costringerlo a confessare una colpa che non aveva commesso. A testimoniarlo nel processo di revisione di Reggio Calabria è stato il maresciallo in pensione Renato Olino, presente a quelle sevizie. Oggi alla procura di Trapani ci sono due inchieste: una contro ignoti per l’eccidio, l’altra contro 4 carabinieri accusati di sequestro di persona e lesioni gravissime. Sono i carabinieri Elio Di Bona, Fiorino Pignatella, Giovanni Provenzano e Giuseppe Scibilia. Secondo l’accusa avrebbero torturato quattro ragazzi per fargli confessare l’uccisione dei due militari. Oltre a Gulotta, tra le mani dei 4 carabinieri c’erano Gaetano Santangelo, Vincenzo Ferrantelli e Peppe Vesco. E’ lui il primo rebus di questa storia. “un piatto ben servito” secondo il Pg Riva. Vesco è anarchico e ha perso la mano maneggiando esplosivo. Viene fermato meno di un mese dopo l’eccidio mentre guida una macchina rubata con una targa di cartone. A bordo ha una delle pistole rubate sul luogo della strage. In caserma subisce scariche elettriche, botte e minacce. Confessa e fa i nomi di tre ragazzi: Gulotta, Ferrantelli e Santangelo. Un piatto ben servito e caso chiuso. Vesco si impicca in carcere 8 mesi dopo: “Se muoio mi avranno ucciso” – lascia scritto.
Sangue e coincidenze
Passa poco più di un anno – è il 20 agosto 1977 - e il responsabile di quel branco in divisa che tortura e manda all’ergastolo tre innocenti viene ucciso. E’ il colonnello Giuseppe Russo, uomo di fiducia di Carlo Alberto Dalla Chiesa. Per il suo omicidio tutti parlano di mafia a partire da un giornalista di razza come Mario Francese. E invece no. Si ripete la scena delle torture in una caserma. Il nucleo di Russo sevizia per ore tre pastori fino a che non confessano. Un’altra falsa verità che durerà vent’anni quando nel 1997 grazie ai pentiti si scopre che ad uccidere Russo è un commando guidato da Leoluca Bagarella. Ma come una matrioska viene fuori altro. Peppino Impastato si era occupato della strage di Alcamo Marina: in un volantino parla di strage di stato, di servizi segreti, di oscure trame. Quel volantino finisce sequestrato dopo la sua morte e scompare: ad operare quel sequestro è il maresciallo Scibilia, uno dei torturatori di Alcamo. Impastato aveva buone fonti: in quel periodo infatti nel trapanese si muoveva la primula nera Pierluigi Concutelli che organizzava campi militari, con una sorta di join ventur tra mafia e neofascismo. C’è di più: il colonnello Russo ha rapporti confidenziali con il boss Tano Badalamenti, il mandante dell’omicidio Impastato. Badalamenti è in quel momento alle corde, fatto fuori dalla Cupola dai corleonesi di Riina e Provenzano. Russo prima di finire ucciso accetta delle consulenze nel campo degli appalti per un azienda della galassia dei cugini Salvo, gli imprenditori mafiosi legati alle vecchia guardia mafiosa, quella di Badalamenti e Bontade: “L'ufficiale si era lanciato in un “campo” minato come manager di super colossi dell'imprenditoria, in una zona che negli ultimi due anni lo avevano visto protagonista, come comandante del nucleo investigativo dei carabinieri. E’ per questo che è morto o c’è una terza causale? – scrive Francese. Che proprio per quegli articoli – “suggeriti” dai colleghi di Russo - finirà ucciso nel gennaio 1979. Per i corleonesi Russo sarebbe stato visto come un ostacolo alla loro conquista, uno che per combatterli si avvicinava alle famiglie rivali, ecco perché doveva morire. Un’altra coincidenza: a condurre fuori strada le indagini sull’omicidio Russo è il suo successore, Antonio Subranni – oggi sospettato di aver avuto un ruolo nella trattativa condotta da Vito Ciancimino nell’estate delle stragi. Lo stesso che ha negato il movente mafioso per Impastato. Torture, depistaggi, omicidi: in questo rebus sono arrivate recentemente i contributi di alcuni pentiti. Secondo Leonardo Messina “Cosa Nostra aveva pianificato una serie di attacchi allo Stato”. Nel programma rientrava la strage di Alcamo Marina? Un investigatore trapanese Antonio Federico ha messo a verbale la voce di una sua fonte: la strage servì a coprire un traffico d’armi istituzionale ma occulto scoperto casualmente dai due carabinieri uccisi.
Oggi rimane una certezza, almeno una. Quella di Giuseppe Gulotta la “terza” vittima di quella strage: “Vorrei sapere chi e perché mi ha fatto questo - dice all’Unità – Siamo finiti in una vicenda enorme, legata ai misteri di questo paese, siamo stati i capri espiatori di una cosa molto più grande di noi che non si doveva conoscere. Questo è stato il modo in cui alcuni carabinieri hanno creduto di fare giustizia dei loro colleghi uccisi?”