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01/06/2019 07:18:00

Sicilia, il falso pentito Scarantino e il suo vero contratto

 Al processo sui depistaggi della strage di Via D'Amelio è stato prodotto il contratto di collaborazione del falso pentito Vincenzo Scarantino con il Ministero dell'Interno. Un documento sepolto per 25 anni.

Il Ministero aveva ammesso, nel Febbraio del 1995, il pentito nel programma di protezione, ritenendolo credibile. Tra le regole, anche quella di non fare interviste. Ma Scarantino fece presto un'intervista televisiva in cui disse che era stato costretto a "pentirsi" e ad inventarsi di avere avuto un ruolo nella strage di Via D'Amelio. 

SCARANTINO RITRATTA. «Il dottor Petralia non mi ha mai suggerito niente, così come il dottor Di Matteo. I poliziotti mi hanno detto sempre detto di stare tranquillo e mi hanno fatto credere che i magistrati erano consapevoli di quello che loro stavano facendo». È Vincenzo Scarantino che parla, a metà udienza del processo sul depistaggio sulla strage Borsellino.

Alla domanda posta dall’avvocato di parte civile Rosalba Di Gregorio su quale ruolo avrebbero avuto i magistrati della procura di Caltanissetta che credettero alle sue false rivelazioni, Scarantino si è dapprima trincerato dietro i non ricordo. Poi, incalzato dall’avvocato Vincenzo Greco, legale dei figli di Paolo Borsellino, ha ritrattato a sorpresa le accuse che aveva lanciato in passato ai magistrati che indagavano sulla strage di via D’Amelio: i magistrati non gli suggerirono nulla. Un colpo di scena che però mette a rischio nuovamente la sua credibilità. Prima mente sotto l’impulso di altri, poi ritratta, mente di nuovo e oggi ritratta ancora.

Parliamo del processo contro gli ispettori Fabrizio Mattei, Michele Ribaudo e il funzionario di Polizia Mario Bo, tutti accusati di concorso in calunnia. I tre facevano parte del gruppo “Falcone- Borsellino”, creato dopo le stragi per fare luce su quanto accaduto nel 1992. Per l’accusa avrebbero agito con l’aggravante di avere agevolato Cosa nostra.

Scarantino in passato aveva accusato i giudici, che all’epoca prestavano servizio a Caltanissetta, di aver accusato dei mafiosi imputati perché ” sollecitato” dai pm Antonino Di Matteo, Annamaria Palma e Carmelo Petralia, ma anche dall’allora capo della Procura Giovanni Tinebra. Ieri arriva il dietrofront. «I poliziotti mi hanno fatto credere che i magistrati sapevano ogni cosa», dice. «Io mi trovavo nel deserto dei tartari – racconta – La Polizia mi aveva convinto che poliziotti del gruppo “Falcone e Borsellino” e i magistrati fossero la stessa cosa ecco perché sono arrivato ad accusare i magistrati».

La marcia indietro arriva, come detto, durante il controesame dell’avvocato Vincenzo Greco. Quando il legale gli chiede se di recente è stato avvicinato da qualcuno “per cambiare idea”, Scarantino risponde: «Oggi sono sereno anche se sono un senzatetto, non lavoro, non ho niente ma sono sereno. Comunque, non mi ha contattato nessuno».

Però da alcuni mesi c’è la Procura di Messina che ha aperto un fascicolo per accertare o meno l’esistenza di responsabilità da parte dei magistrati, dopo aver ricevuto dai colleghi nisseni la sentenza del processo Borsellino quater. Nelle motivazioni del verdetto, il giudice della Corte d’assise di Caltanissetta parlava di depistaggio delle indagini sull’attentato al magistrato. Depistaggio su cui i pm di Caltanissetta hanno indagato e poi incriminato tre poliziotti del pool che indagò sull’eccidio.

Ma nella sentenza si denunciavano anche gravi omissioni nel coordinamento dell’indagine, costata la condanna all’ergastolo di otto innocenti, coordinamento che spettava ai pm dell’epoca. Il fascicolo aperto a Messina include le deposizioni dei pm dell’epoca, tutti sentiti al processo Borsellino quater. In questo caso, le dichiarazioni di Scarantino, ritrattazioni comprese, non risulterebbero influenti.