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15/06/2020 06:00:00

Salemi. Gli ‘Stone-auti’ del liceo Classico classificati primi in Sicilia nel nome di ‘Nina’

Sulla falsariga dei cinquanta mitologici Argonauti alla ricerca del Vello d’oro, anche gli allievi del Liceo Classico di Salemi ha intrapreso un loro viaggio alla ricerca di un bene prezioso.

Nelle vesti di 25 ‘Stone-auti’ , un viaggio breve nello spazio, di pochi chilometri dalla scuola, ma lontanissimo nel tempo, fin nella preistoria.

Si dice che la curiosità è un istinto che nasce dal desiderio di sapere qualcosa.

Sono stati sollecitati dalla curiosità, così hanno scritto.

Forse anche, aggiungiamo noi, da un inconscio desiderio di felicità, in tempi di corona virus.

Non è stato forse scritto che la felicità deriva dal non sapersene stare buoni in una stanza, in un’aula, spinti dall’irrefrenabile impulso verso realtà sconosciute?

Quale migliore occasione, allora, di una full immersion su un sito archeologico che si trova nel territorio comunale e conosciuto come “Area Archeologica di Mokarta”, che racconta la vita quotidiana di un villaggio di tremila anni fa?

Nell’età del bronzo, tra il dodicesimo e decimo secolo a.C., la collina su cui sorge, che verrà poi chiamata Mokarta dagli arabi, era abitata dai Sicani, un popolo autoctono.

Vivevano di agricoltura, allevamento, praticavano la filatura e la tessitura, ma anche la metallurgia.

Tutto testimoniato dai numerosi reperti portati alla luce durante le varie campagne di scavi, quelle ufficiali.

Di quelli affiorati dagli scavi dei cosiddetti “tombaroli”, per anni indisturbati, si sono perdute le tracce, utili forse come apripista agli interventi istituzionali.

Dagli studi degli specialisti si è consolidata l’ipotesi che il villaggio venisse violentemente distrutto e abbandonato probabilmente a causa dell’incursione di un popolo straniero.

Sono gli Elimi, venuti da Oriente, che si insediano in una parte dell’odierna provincia di Trapani. Da Segesta a Erice fino a Salemi.

La collina di Mokarta fu dimenticata, ma non per sempre.

Fino a quando un giorno qualcosa impedì l’avanzamento dell’aratro di un contadino.

Qualcosa affiorò alla luce dal buio dei millenni. I primi ad esserne informati furono i “tombaroli”.

Erano gli anni ’60 del millennio scorso, mitici anche per i razziatori dei siti archeologici, che fecero anche le fortune di tanti studiosi.

Ricchi di esperienza empirica, fu loro gioco facile scoprire le tombe .

Erano del tipo a “grotticella” e insistevano quasi tutte sul costone roccioso della collina, morfologicamente simile ad una “cresta di gallo”.

Dovettero passare trenta anni circa perché il sito divenisse oggetto di due campagne di scavi ufficiali. Furono confermate le ipotesi scientifiche avanzate.

Man mano che gli scavi proseguivano, venivano allo scoperto i resti di alcune capanne. O meglio, le basi in pietra di capanne circolari caratterizzate da un insolito doppio ingresso. Ovviamente, della parte superiore costituita da arbusti o paglia impastata con l’argilla non si trovò alcuna traccia.

Al centro della capanna troneggiava un focolare mentre all’interno furono rinvenuti vasi e utensili vari. Lasciati ai posteri, esattamente li avevano abbandonati in quella tragica giornata di ferro e fuoco in cui gli abitanti dovettero fuggire repentinamente alla furia devastatrice degli invasori.

Ma la sorpresa maggiore fu il ritrovamento, all’interno del perimetro di una capanna, di uno scheletro.

Verrà accertato che si trattava dei resti di una giovane ragazza. Colta, come i calchi di Pompei, nell’istante in cui, con in mano un vaso, non riuscì a mettersi in salvo.

Venne battezzata con il nome di “Nina” in onore di Antonino, l’operaio che la rinvenne durante la campagna di scavi.

Il valore archeologico, sia scientificamente sia storicamente, del sito è immenso.

Per il fatto che sia immutato e inviolato per più di tremila anni alcuni archeologi lo hanno denominata “ la Pompei della preistoria”.

Ma è solo dopo l’approvazione del progetto con valenza di ricerca scientifica dal titolo “Valorizzazione finalizzata alla fruizione dell’area archeologica di Mokarta”, cofinanziato dal FESR nell’anno 2015, che si comincia a parlare un linguaggio innovativo sul sito.

Le cui finalità erano di ampliarne la conoscenza e la fruizione .

Gli scavi, sia quelli precedentemente svolti sia a quelli realizzati previsti dal progetto, hanno permesso di rinvenire ben 15 capanne circolari con ingresso a forcipe e alcuni edifici quadrangolari.

E qui spuntano le dolenti note. Come in tutte le iniziative siciliane, c’è sempre un divario tra le buone intenzioni e le realizzazioni.

Non si sarebbe mai dovuto dimenticare lo scopo finale del progetto.

Che tendeva non solo alla salvaguardia del complesso archeologico, anche e soprattutto a renderlo fruibile come “museo all’aperto".

Dopo avere provveduto al recupero dei manufatti e averli ovviamente restaurati e infine affidati alla conoscenza del pubblico attraverso eventi espositivi con iniziative collaterali.

Agevolati dal fatto che oggi Il turismo culturale è più diffuso di quanto si creda.

La prima parte degli interventi, quali la creazione di sentieri che collegano l’area preistorica con quella medievale e l’innalzamento di staccionate per delimitare gli scavi.

Sono stati restaurati alcuni dei manufatti rinvenuti, oggi esposti al museo archeologico di Salemi, visitato da circa 4. 000 persone all’anno.

Anche se pochi ancora, quanti almeno una parte di questi potrebbero recarsi sul sito e non possono o non sanno che esista?

Rimane l’ultimo passo da fare. La fruibilità del sito come “museo all’aperto".

In proposito il dott. Filippo Occhipinti, coordinatore tecnico del progetto per conto della Soprintendenza di Trapani, ha sottolineato che se “Il progetto esecutivo ha consentito di realizzare tutti gli interventi previsti rispettandone la tempistica e gli obiettivi e che esiste persino un piccolo magazzino da adibirsi per un potenziale sportello turistico. In pratica la zona resta di difficile fruizione a causa della strada sterrata e accidentata, la mancanza di servizi igienici ed di una adeguata cartellonistica.”

Oggi purtroppo il sito si trova in stato di abbandono.

Di chi è la responsabilità? Difficile da stabilirlo. Come al solito in Sicilia, si rimpallano.

Nemmeno gli “Stone-Auti” sono riusciti a scoprirlo, nonostante abbiamo intervistato coloro che si sono occupati di gestire i finanziamenti ricevuti, i funzionari del Comune di Salemi, il Sindaco, il direttore del museo, la Pro-loco.

Alla domanda sul perché un territorio ricco di storia e di beni archeologici, storici e culturali come quello salemitano, non venga valorizzato come si dovrebbe, una risposta soddisfacente per loro, non l’hanno ricevuta.

Dal 2019 il sito è entrato nel circuito del grande parco archeologico di Segesta.

La Direttrice del Parco, Dott.ssa Rossella Giglio, recentemente ha pubblicamente espresso la volontà di programmare attività specifiche per Salemi e per Mokarta.

Questa, alla fine del loro lungo viaggio, l’unica speranza che si sentono di nutrire questi nostri novelli “Stone-auti” sul destino del sito archeologico di Mokarta.

Augurandosi di avere ben capito e di non essere stati “Stonati”, come con autoironia, hanno amato fregiarsi di un epiteto a doppio senso.

A conclusione della loro ricerca. Sono tante le domande inquietanti lasciate a chi ha potere decisionale..

Quando e come questo territorio così ricco di storia potrà rappresentare una risorsa economica? Come Soprintendenza ed Enti pubblici e privati intendono procedere.

Domande toste. E diversamente non poteva essere, per restare fedeli al significato del nome linguisticamente ibrido “Stone- Auti” adottato ( Navigatori di e tra le Pietre).,

Emuli anche dei seguaci di Ulisse che “per seguir virtute e canoscenza” varcarono le Colonne d’Ercole, hanno voluto lasciarci il resoconto la loro avventura di conoscenza.

 

Franco Ciro Lo Re