Scrittore, diarista, critico letterario, regista, drammaturgo: la somma di tutte queste singole attività, olisticamente non riuscirebbe a classificare, a dare un’etichetta, a sintetizzare la figura di Michele Perriera, che fin dalla fondazione del Gruppo 63 ha sempre dimostrato, come solo pochissimi altri, di essere un artista totale della parola.
Quest’anno, l’11 settembre, ricorrono i dieci anni dalla sua morte, e noi di TP24 abbiamo voluto dedicargli un lungo speciale. Lo abbiamo intitolato “Un’appassionata mitezza”, uno dei tanti affascinanti ossimori contenuti nel suo zibaldone, Con quelle idee da canguro (Sellerio, 1997), che gli fa da specchio, mostrandoci il suo profilo e la sua profondità.
Da domani, ogni giorno per sette giorni, esploreremo molti degli aspetti della personalità e della produzione di Perriera grazie agli interventi di amici e di studiosi del suo lavoro. Preferiamo non dirvi subito i loro nomi, svelando così le trame dei percorsi che intraprenderemo lungo questa settimana: è nostro desiderio riservarvi di volta in volta un piccolo coup de théâtre, un colpo di scena, per riscoprire insieme aspetti nuovi, inattesi e inediti delle sue pagine.
Vi anticipiamo soltanto che inizieremo con uno straordinario articolo di Marcello Benfante, che si concentrerà proprio su Con quelle idee da canguro.
Nelle pagine di quel prezioso libro, Perriera ci insegna che «quando il futuro si fa più oscuro, quando incombono la rassegnazione e la rinuncia, è l’arte a rischiarare l’orizzonte. È impareggiabile nel conciliare disperazione e utopia, sospetto ed entusiasmo, lucidità e abbandono. Ed è per questo che niente meglio dell’arte lascia intravedere – in pieno massacro – la fiducia: perché in essa nulla appare deciso una volta per tutte e tutto è, in sé, altro da sé. È questo che ci commuove infinitamente. Ci sentiamo abbracciare da milioni di uomini e donne con i quali la storia deve ancora e sempre pagare il suo debito».
E il nostro debito, nei confronti di Michele Perriera, non potrà mai essere estinto.