Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Se vuoi saperne di più negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi.
Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie. Cookie Policy   -   Chiudi
29/12/2020 00:00:00

Covid-19: "La paura del virus e il virus della paura"

Non avremmo mai immaginato di ricordare il ventunesimo anniversario della strage del Centro di Permanenza Temporanea per immigrati “Serraino Vulpitta” in un contesto mondiale dominato da una pandemia.
Questa emergenza planetaria ha stravolto la vita di tutti, letteralmente. Le ripercussioni sociali, politiche ed economiche sono e saranno enormi da un punto di vista collettivo, così come altrettanto gravi saranno le ferite psicologiche e relazionali che ciascun individuo porterà con sé.

Su un piano politico, la pandemia ha offerto ai governi la possibilità di affinare una serie di dispositivi di controllo sociale e di disciplinamento che non si erano mai visti prima, quanto meno nel mondo occidentale, in tempi di pace.

Fughiamo ogni dubbio prima di proseguire nel ragionamento: noi non siamo negazionisti e non abbiamo alcun dubbio sulla oggettiva pericolosità del Covid-19. Siamo altresì convinti che sia necessario che ogni persona assuma comportamenti responsabili per la salute propria e degli altri adottando ogni accorgimento utile.

Cionondimeno, non possiamo esimerci da una riflessione sull’estrema pericolosità dei provvedimenti repressivi che nel corso di questo anno sono stati sperimentati in Italia sul corpo sociale. Abbiamo assistito a una implementazione tanto ossessiva quanto contraddittoria della decretazione d’urgenza da parte del governo. Abbiamo visto sindaci e presidenti di regione convinti di essere dei piccoli dittatori, impegnati a emettere ordinanze gratuitamente persecutorie, accecati da un delirio di onnipotenza giustificato dall’emergenza sanitaria. Durante i mesi della chiusura totale del paese, l’opinione pubblica è stata bombardata da messaggi retorici e propagandistici finalizzati al reclutamento collettivo per questa presunta “guerra al coronavirus”. Nel delirio nazionalista, a metà tra il patetico e il ridicolo, venivano appesi i tricolori alle finestre, ai bambini si facevano disegnare gli arcobaleni, e ogni pomeriggio si accendeva lo stereo per diffondere l’Inno di Mameli.

“Andrà tutto bene” ci dicevano.

Nel frattempo, gli ospedali del Nord Italia andavano al collasso e le persone continuavano a morire, a migliaia. Medici e infermieri si ammalavano perché non avevano nemmeno le mascherine, alla faccia della retorica su “i nostri eroi”.
Mentre una nazione intera veniva chiusa in casa, i lavoratori della sanità sono stati abbandonati a loro stessi, le grandi fabbriche del Nord non hanno mai sospeso la loro attività e così il virus ha continuato a viaggiare velocemente sulle gambe dei pendolari che affollavano i mezzi pubblici per recarsi al lavoro. Mentre in Tv e sui giornali si puntava il dito contro chi usciva di casa, da solo, per fare jogging al parco, le fabbriche di armi restavano aperte e operative, perché annoverate tra le “attività essenziali” dal decreto del presidente del consiglio.
Mentre ovunque ci veniva detto di “restare a casa”, non si è mai proceduto a una seria mappatura del contagio necessaria all’adozione di provvedimenti più efficaci e razionali. In questa disgustosa fiera dell’ipocrisia esercitata letteralmente sulla pelle degli italiani, in pochissimi hanno denunciato con chiarezza che la classe dirigente che oggi pontifica sulla salute e sulla sicurezza degli italiani è la medesima classe dirigente che ha distrutto il sistema sanitario nazionale negli ultimi trent’anni.
Oggi paghiamo a carissimo prezzo tutti i tagli alla sanità, le chiusure di molti ospedali, la drastica riduzione dei posti letto, il depotenziamento dell’assistenza territoriale, la privatizzazione selvaggia dei servizi, il blocco delle assunzioni del personale medico e infermieristico.
Va detto chiaro e tondo che i veri responsabili di questo sfacelo sono quegli stessi politicanti che per mesi hanno vestito i panni dei moralizzatori per censurare i comportamenti dei cittadini accusandoli di essere degli irresponsabili o dei criminali.

Il governo italiano ha avuto sei mesi di tempo per correre ai ripari e affrontare decentemente quella che tutti chiamano adesso la “seconda ondata” e che tutte le persone mediamente accorte sapevano si sarebbe verificata.
E invece, nulla.
Le forti pressioni da parte del padronato e di Confindustria rispetto alla necessità di far ripartire l’economia e il turismo hanno avuto come unico risultato la ripresa esponenziale dei contagi, anche in quelle aree del paese che fino ad allora se l’erano cavata. Tra provvedimenti governativi demenziali e ipocriti (come la riapertura estiva delle discoteche, poi subito chiuse), nelle fabbriche – quelle grosse – non si è mai smesso di lavorare e i mezzi di trasporto pubblici non sono mai stati potenziati per decongestionare l’affluenza. Ci si è accapigliati per settimane sulle scuole (scuole che, specie al Sud, continuano a cadere a pezzi) costringendo poi gli studenti alla didattica a distanza senza pensare a soluzioni meno lesive del diritto all’istruzione e alla fruizione degli spazi scolastici.

Lo stato si è dimostrato incapace di garantire il giusto ristoro economico alle attività che si erano fermate, e per moltissimi italiani la Cassa integrazione è stata un vero e proprio dramma a causa dei gravissimi ritardi nell’erogazione del denaro.
Quando si tratta di finanziare le missioni militari o l’acquisto di armi, però, i soldi si trovano sempre e subito. Quante terapie intensive si possono allestire con i soldi spesi per un cacciabombardiere?

La paura del virus, tanto umana quanto comprensibile, ha generato un’infezione altrettanto temibile: il virus della paura.
Lo scenario distopico in cui siamo immersi si alimenta non solo delle azioni del governo ma anche dall’angoscia di morte che, in molti casi, ha dato luogo a comportamenti ossessivi da parte dei singoli cittadini. La paura del virus, in molti casi, è stata rielaborata con la solita costruzione del capro espiatorio: all’inizio era tutta colpa dei cinesi, poi di tutti gli altri immigrati, e così via. Nella ricerca spasmodica di un “untore”, molti cittadini hanno assunto atteggiamenti odiosamente delatori per segnalare alle autorità, anche in maniera pretestuosa, i presunti trasgressori dei divieti governativi.
In questa surreale interruzione della cosiddetta normalità, non hanno aiutato le dichiarazioni spesso ambigue e contraddittorie da parte di alcuni esponenti del mondo scientifico sulle origini e i possibili rimedi alla malattia che hanno involontariamente dato fiato ai deliri negazionisti e complottisti cavalcati strumentalmente da reazionari e fascisti, sia in Italia che all’estero.

Non è certo la prima volta che l’umanità è costretta a fare i conti con una pandemia. Come sempre le conseguenze peggiori sono patite dai soggetti più deboli e da quelle fasce della popolazione la cui “normalità” è scandita dalla povertà e dalla marginalità. In uno stato d’eccezione come quello che stiamo vivendo, queste problematiche sono addirittura esacerbate.
Per esempio, ci sembrano significativi, sul fronte dell’immigrazione in Italia, i dati emersi nel Dossier statistico 2020 realizzato da Idos. Lo studio dimostra che lo sfruttamento dei lavoratori stranieri, specialmente in agricoltura, è sensibilmente peggiorato in un quadro di generale aumento della precarietà e della discriminazione, ulteriormente aggravato dall’emergenza sanitaria. A ben vedere, tutti i lavoratori in nero, tutti gli sfruttati, tutti i sottopagati, tutte le persone – di qualunque nazionalità – che si arrangiano per tirare a campare sono state travolte dalle conseguenze socioeconomiche della pandemia.
Nel nostro territorio ha tenuto banco per diverso tempo la drammatica situazione del centro di accoglienza di Valderice adibito a centro per la quarantena, con numerosi episodi di tensione, tentativi di fuga e rivolte che hanno dato origine a vibranti proteste da parte dei cittadini esasperati. Purtroppo è un copione destinato a ripetersi, dal momento che gli immigrati costretti alla clandestinità hanno molta più paura di finire dentro a un centro di detenzione o di essere rimpatriati, piuttosto che di ammalarsi di Covid-19.

Il coronavirus ha sostanzialmente svelato tutti i limiti e le contraddizioni del modello sociale ed economico dominante. Il fenomeno dello spillover (il salto di specie) che con ogni probabilità è all’origine di questa infezione, è strettamente legato all’invasività dell’attività umana sulla natura e al carattere predatorio dell’economia capitalistica sulle risorse planetarie. Allo stesso tempo, il coronavirus ha messo drammaticamente a nudo l’estrema fragilità di un sistema che per mantenere i profitti e i privilegi di poche persone, continua a massacrare la maggior parte della popolazione mondiale attraverso la privazione di diritti fondamentali come, in questo caso, il diritto alla salute e a cure efficaci uguali per tutti.

In questo scenario desolante la speranza arriva, ancora una volta, dalle tante reti autogestite che in tutta Italia (e non solo) hanno cercato di far fronte ai durissimi mesi del lockdown attraverso azioni di solidarietà concreta destinate alle persone più in difficoltà, a dimostrazione del fatto che il mutuo appoggio e il sostegno reciproco sono il miglior vaccino contro il virus della paura.

Chiudiamo la nostra riflessione sull’anno appena trascorso, nell’anniversario del rogo del “Vulpitta”, rivolgendo il nostro pensiero ai quattordici detenuti morti in seguito alle rivolte di marzo scoppiate in molte carceri italiane. La paura del virus, il terrore del contagio alla luce del perenne sovraffollamento degli istituti di pena, e il divieto alle visite dei parenti scatenarono il panico e la rabbia dei carcerati. Le rivolte furono represse nel sangue. Quattordici morti dei quali nessuno ha mai più voluto parlare. Un’altra strage di stato che si aggiunge alla lunga scia di sangue con cui viene tracciata la strada della cosiddetta democrazia.
Tranquilli, però: “Andrà tutto bene”.

Coordinamento per la Pace - Trapani