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26/10/2020 06:00:00

Patologie pregresse 

 Chissà se Ivan Genna, il marsalese morto sabato mattina mentre viaggiava sul bus che lo doveva portare a casa dopo un turno notturno in ospedale, a Palermo, aveva qualche “patologia pregressa”.

E' la moda del momento. Per ogni morto di Covid chiedere: chissà cos'altro aveva, poveretto ... 

Perché c'è una parte del nostro cervello che ci dice che di Covid non si può morire e non si muore, a meno che non hai altro: un tumore, una punta di diabete, o sei ciccione, hai la pressione alta, sei asmatico, vecchio.

Ci abbiamo provato anche con il povero professore Pulizzi, il vice preside della scuola Nosengo di Petrosino, che aveva 61 anni e stava bene per come si può stare bene a quell'età. Eppure, appresa la notizia della sua morte, la domanda è stata: ma aveva qualcosa? No, solo Covid, signora mia.  E come il generale Lapalisse, che un momento prima di essere colpito in battaglia era ancora vivo, anche lui, il giorno prima di essere colpito dal coronavirus, stava benone, era andato pure a vendemmiare.

Chissà se aveva patologie pregresse Ivan Genna. Che è morto mentre era sul bus per andare a fare il suo lavoro di infermiere, mestiere che lo aveva portato in giro per l'Italia e poi in Sicilia. E viveva a Strasatti, si prendeva cura della madre e viaggiava ogni giorno. E a Marzo se l'era vista in corsia con il coronavirus, e probabilmente, anche lui, come tanti, non pensava che Ottobre sarebbe stato una trincea, l'inizio di un inverno lunghissimo.

E se per i morti di coronavirus vale la nostra ottusa ricerca di qualcosa di altro per giustificarne il decesso (ma aveva 80 anni! Ma era disabile! Ma era cardiopatico!), per l'infemiere morto mentre sta andando a combattere, dalla sua prima/seconda/terza linea non importa, la guerra che molti di noi ancora si ostinano a non vedere, possiamo dirlo che è morto per il coronavirus? Incastrato tra le lamiere dello stress dell'andare e venire, dei turni, del niente ferie e tutti reperibili, dell'ansia per quello che deve ancora arrivare e che non riusciamo a capire, per questa sorta di indecifrabilità che anche tra noi mette distanze e distanziamenti.

E' morto di coronavirus l'infermiere Ivan. E' morto di coronavirus il dottore Denaro che con la sua auto è finito contro il bus e che faceva la guardia medica a Santa Ninfa. E anche lì, cos'è la guardia medica, la prima fila, la seconda fila, la penultima, non importa, stava andando a fare il suo dovere, nel tempo in cui abbiamo scoperto che la parola più importante non è amore nè pietà, ma è: cura.

Ognuno ha le sue patologie pregresse, se vogliamo percorrere il viale del ritorno di tutte le vittime. D'altronde per qualcosa si deve pur morire. E Paolo Borsellino se non l'ammazzava la mafia, l'ammazzavano le sigarette, e sarebbero dovute morire prima o poi, di qualche cosa le vittime di tutte le guerre.

E' morto di coronavirus anche  il signor Pietro. La sua storia l'ha raccontata a Tp24, con dignità e coraggio (che nel nostro vocabolario stanno vicine, come parole, a quell'altra, cura) la figlia, parlando di questo padre che non ce l'ha fatta a superare la crisi economica, il momento in cui tutto si ferma, il sole è freddo, e il cuore si riempie di polvere e le parole non bastano. E si arriva allora a quel gesto, quel finale. Ditemi, non è vittima del coronavirus anche lui? 

Batte per noi ogni campana che annuncia un morto, annuncia una vittima, del coronavirus, di questo tempo e di questa guerra. Peccato che l'hanno capito pochi, che siamo in guerra, e che si tratta di fare dei nostri corpi trincea, per evitare che il lutto e il dolore prenda il sopravvento. Dobbiamo proteggere noi e gli altri. E dobbiamo proteggere anche la grazia dei nostri cuori, che c'è esiste, anche nell'animo di chi scende in piazza per devastare, di chi nega in maniera sfrontata, di chi si diverte a fare circolare notizie false, di chi insulta. Dobbiamo sperare che abbia la meglio, questa grazia e questa luce, nelle giornate buie che il cambio dell'ora ci annuncia. 

Giacomo Di Girolamo