Dovevano servire a consolidare le zone più fragili, a curare le città e a rimodernare le infrastrutture, in modo da evitare frane, smottamenti e ridurre le conseguenze in caso di sisma. Erano i finanziamenti con cui magari si sarebbe potuta evitare la tragedia di Messina. Se non fosse che i fatti giustificano il sospetto che i denari non siano andati tutti a finire dove ci si sarebbe potuti attendere. Non sullo Stretto, perlomeno.
In una relazione dell’agosto 2007 gli amministratori regionali affermano che i Pai, Piani di assetto idrogeologico, interessavano il 72% del territorio dell’isola. Il quale, si faceva notare, è per il 70% a componente argillosa «prevalente o significativa».
Fra il 2000 e il 2006 il Fondo Ue di sviluppo regionale ha assegnato alla Sicilia 142,6 milioni per azioni mirate a «protezione e consolidamento versanti, centri urbani e infrastrutture». Altri 40,9 milioni sono andati alla «tutela integrata delle aree costiere». Inoltre, Bruxelles ha previsto 4,75 milioni alla voce «diffusione delle competenze per gestione e salvaguardia del territorio» e altri 88,55 al «mantenimento dell’originario uso del suolo» col Fondo agricolo di orientamento e garanzia (Feoga). Fanno oltre 175 milioni in sei anni.
L’esercizio è stato ripetuto nella ripartizione delle prospettive finanziarie per il 2007-2013. Il fondo di sviluppo regionale (Fesr) ha inscritto 120,16 milioni a fianco del titolo «prevenzione dei rischi» naturali e tecnologici e 14,38 stanziati per «altri provvedimenti intesi a preservare e a prevenire i rischi». Sono circa 134 milioni. Il totale dei tredici anni arriva pertanto a 310,7.
Qualche tempo fa in occasione della vista della Commissione in Sicilia, gli eurodeputati Fava (Sinistra democratica) e Catania (Rifondazione) denunciavano che le risorse erano servite «prevalentemente per coprire buchi di bilancio e fare manutenzioni ordinarie».