tornato in libertà nel 2002 dopo avere scontato 29 anni di carcere per il sequestro e l'omicidio di tre bambine (Antonella Valenti, il vero obiettivo, Ninfa e Virginia Marchese) prelevate all'uscita dalla scuola il 21 ottobre 1971. A denunciare Vinci è stato il cognato Leonardo Valenti, padre di Anton
ella, che si è sentito diffamato dalle affermazioni fatte dall'uomo nel '75, alla vigilia della sentenza del processo di primo grado, e rilanciate nel 2006 dalla trasmissione di Rai3 ''Chi l'ha visto?". E' stato in seguito a questa trasmissione che Valenti ha deciso di sporgere querela. Michele Vinci, che adesso vive in un paesino del Viterbese, disse che il sequestro di Antonella Valenti era stato ordito per punire il padre Leonardo, che secondo il "Mostro di Marsala" avrebbe dovuto partecipare al progettato sequestro del deputato regionale democristiano Salvatore Grillo, il quale aveva sconvolto i vecchi equilibri nel trapanese, diventando il politico più in vista grazie anche all'appoggio dei cugini Nino e Ignazio Salvo, esattori di Salemi. Il padre di Antonella, però, all'ultimo momento, si sarebbe tirato indietro. E per questo motivo sarebbe scattata la vendetta. Il racconto di Vinci nel '75 non fu preso in considerazione dagli inquirenti. Anche perche', come spiega l'avvocato Elio Esposito, che lo difese, quelle dichiarazioni "non furono rese nel corso del processo, ma a un giornalista".
Era il 21 ottobre del 1971 quando a Marsala in provincia di Trapani, tre bambine, Antonella Valenti di 11 anni e due sue cuginette, Virginia e Ninfa Marchese, di nove e sette anni, svaniscono nel nulla. Erano le 13, 30 quando le tre piccole erano uscite di casa per accompagnare un’altra sorellina Marchese, Liliana, che frequentava la scuola nel pomeriggio. La ragazzina entra in aula , ma le altre tre spariscono senza lasciare alcuna traccia. Volatilizzate. Antonella viveva con il nonno paterno, Vito Impiccichè, a cui era stata affidata dai genitori partiti a cercar fortuna in Germania. Non vedendo la bambina rientrare l’uomo intuisce che era successo qualcosa di grave. Ben presto la notizia raggiunge ogni angolo del paese ed inizia una maxi ricerca tra i campi. Nessun risultato. Il giorno dopo le ricerche continuano e alle stesse partecipano 1.500 persone, oltre ai poliziotti e a 250 soldati. Delle tre bambine nessuna traccia. Vengono passati al setaccio vecchi casolari ed immobili in costruzione. Tutto è inutile. Passano i giorni, ma nonostante le ricerche certosine delle tre bambine nessuna traccia. Nessuno ha visto niente, nussuno sa niente.
All’improvviso spunta, dopo due giorni, un primo testimone, un benzinaio, Hans Hoffman, che dichiara di aver visto un giovane sui 30 anni alla guida di una auto Fiat 500 di colore blu con a bordo delle bambine che agitavano le mani spaventate. Il caso viene affidato al giudice Cesare Terranova che non crede molto a questa testimonianza, ma la fa diffondere dalla stampa. Le ricerche continuano e i volontari aumentano sempre più fino a contarne oltre 3 mila. Il 26 ottobre la triste e sconvolgente scoperta. Un operario trova nei pressi di una scuola in costruzione in aperta campagna il corpicino straziato di Antonella Valenti. Un ritrovamento ancora più sconvolgente: il cantiere era stato passato al setaccio pochi giorni prima dal ritrovamento, quindi, il cadavere era stato nascosto dopo le ricerche.
Dove era stata segregata Antonella prima di essere ammazzata? Da chi e, principalmente, perchè? La bocca della ragazzina era chiusa da un nastro adesivo (questo sarà un particolare decisivo per le indagini che inchioderanno il compevole, ma che aprirà spiragli sulla presenza di un complice). Si diffonde la notizia che la bambina era stata prima violentata e poi ammazzata. Ma i medici stabilirono che Antonella non era stata violentata e non aveva subito violenze sessuali, era rimasta in vita per almeno tre giorni cibandosi di pane e salame. Dove? E chi le procurava il cibo? Causa della morte: soffocamento. Avvisati della morte della loro bambina i genitori di Antonella, Leonardo e Maria Valenti tornano in Italia. Sarà proprio la traccia del nastro adesivo a spostare le indagini su di una nuova pista.
Sarà uno zio della piccola Antonella a cadere in contraddizione su i suoi movimenti di quel maledetto 21 ottobre. E’ Michele Vinci, zio di Antonella, che dichiara che all’ora della scomparsa delle bambine era a casa, a pranzo con la moglie. ma non era vero. A confermarlo proprio sua moglie: a quell’ora Michele non c’era.L’uomo viene sottoposto a pressanti interrogatori e alla fine confessa: era lui il mostro. Lui aveva rapito le bambine, lui si era disfatto di Ninfa e Virginia Marchesi gettandole vive in un pozzo di 30 metri di profondità , lui aveva rapito Antonella e l’aveva rinchiusa in un casolare per alcuni giorni dandole da mangiare pane e salame e cibo in scatola. E lui l’aveva soffocata col nastro adesivo. Sarà Michele Vinci a far scoprire i corpicini delle altre 2 bambine morte per sete, fame, ed atroci sofferenze dopo essere state gettate vive in un pozzo lungo 30 metri in una campagna abbandonata. Nessuna delle tre vittime aveva subito violenze sessuali. I cadaveri delle sorelline Marchese verrano ricuperati il 9 novembre, 19 giorni dopo il loro rapimento. Nel corso dell’interrogatorio, ormai messo alle strette, Michele spiegherà che “non ho gettato le bambine nel pozzo, non le volevo uccidere, sapevo che sul fondo c’era dell’erba, ho detto loro solo di saltare dentro. L’erba avrebbe attutito la loro caduta” Ed aveva ragione. Ninfa e Virginia sono rimaste vive, agonizzanti fino al loro ritrovamento ormai morte dopo atroci sofferenze.
Inizia il processo a carico di Michele Vinci. Nel 1975 il pubblico ministero è Ciaccio Montalto Al termine del processo Michele Vinci viene condannato all’ergastolo.? Dopo la Cassazione Michele Vinci viene condannato a 29 anni. Dal 2002 vive libero in provincia di Viterbo.