E che il tutto sarebbe stato spiegato il giorno dopo, nel corso di una conferenza stampa nei saloni del castello in Piazza Alicia a Salemi. Dopo poco di mezz’ora però, tramite un lancio d’ agenzia il sindaco, ci ripensava e comunicava di volere abbandonare la carica.«Mi sono dimesso da sindaco di Salemi. Grazie agli ispettori del ministero che hanno mostrato cose di cui non mi ero accorto» ha detto il critico d’arte Vittorio Sgarbi, dopo la notizia della proposta di scioglimento del Comune per presunte infiltrazioni mafiose da parte degli ispettori del ministero dell’Interno. «Mi sentivo - ha aggiunto - in pericolo e me ne torno al Nord. Incontrerò il ministro Cancellieri alle 9 di mercoledì prossimo per riferire il mio compiacimento per questa scelta». Al momento in cui scriviamo però nulla di ufficiale risulta essere stato depositato presso gli uffici del Comune. La cautela quindi è d’obbligo. Più di una volta infatti, nel corso di questi oltre tre anni, le dimissioni sbandierate ai quattro venti sono cadute nel nulla. La bomba è scoppiata nel pomeriggio di domenica quando un quotidiano nella sua edizione on-line faceva sapere che le conclusioni degli ispettori della prefettura di Trapani si trovavano sul tavolo del ministero degli Interni, proponendo al responsabile del Viminale lo scioglimento dell'amministrazione comunale di Salemi per infiltrazioni mafiose. E così è successo che, dopo che nella mattinata del lunedì Sgarbi aveva escluso le sue dimissioni, dichiarando di volere nominare addirittura suo vice Pino Giammarinaro, ex parlamentare andreottiano che, secondo gli esiti degli dell'ispezione, avrebbe esercitato indebite pressioni e influenze sulla gestione del Comune, nelle prime ore pomeridiane invece faceva marcia indietro e furibondo faceva sapere di volere abbandonare tutto e tutti e ritirarsi oltre la linea gotica . "Ho lavorato come un matto, ho io contrastato gli interessi mafiosi, come nel caso delle pale eoliche e ora mi attaccano", ha gridato Sgarbi, precisando che mercoledì dovrebbe incontrare il ministro dell'Interno, Cancellieri.
Secondo gli ispettori il comune di Salemi va sciolto per "infiltrazioni mafiose". Sarebbe questa la conclusione contenuta nella relazione degli ispettori nominati dall'ex ministro Roberto Maroni dopo l'operazione su appalti e nomine nella sanità culminata con il sequestro di beni per 35 milioni riconducibile all'ex deputato regionale democristiano Giuseppe Giammarinaro. Sulla turbolente vicenda, già nelle prime ore della diffusione della notizia, si era pronunciata la segreteria provincia di Rifondazione Comunista che chiedeva le dimissioni immediate di Sgarbi. Mentre il consigliere Melchiorre Angelo, di recente approdato tra le fila di Italia dei Valori si dichiara “estremamente preoccupato perché a perdere sarebbe sempre la città. Oggi s’impone un’ampia riflessione su come lavorare per il futuro”. Da parte delle altre forze politiche bocche cucite, mentre c’è qualcuno che ritiene che si tratti dell’ennesima sceneggiata. L’aspetto paradossale di tutta la vicenda comunque risiede nel fatto che Vittorio Sgarbi, proprio nella città degli esattori Salvo, aveva scommesso tanto sulla questione mafia. Teorizzandone l’estinzione e realizzando addirittura un museo utile ai posteri come testimonianza di un fenomeno ormai scomparso. Non solo. A chi gli rinfacciava l’ingombrante presenza di Giammarinaro era sempre pronto a liquidarne il peso politico definendolo ininfluente e insignificante, ai limiti dell’offesa. E’ comprensibile quindi la sua ira incontrollata nel vedersi sciogliere il municipio con l’infamante accusa di “infiltrazioni mafiose”. Parrebbe (il condizionale è d’obbligo, alla luce delle innumerevoli dimissioni annunciate e mai concretizzatesi) che stavolta le intenzioni di dimettersi siano reali e di mollare anche la Sicilia. Poco importa di avere manifestato l’intenzione di candidarsi in tutti paesi in cui è andato per presentare il suo ultimo libro. Cosa che ha fatto anche ieri sera a Salemi nel corso di un incontro organizzato in suo onore dal Rotary, dal Lions e dalla Fidapa. “Si, le mie sono dimissioni irrevocabili”, ha tuonato. Poco importa se in mattinata aveva annunciato propositi battaglieri. Pronto a nominare, annullando il concorso tutto al femminile, come suo vice niente di meno che il potente ex democristiano Giuseppe Giammarinaro, Una sorta di sfida per controbattere alle richieste avanzate dai commissari inviati lo scorso anno dall’ex ministro dell’Interno Roberto Maroni subito dopo l’operazione “Salus iniqua” su appalti e nomine nella sanità. Un’inchiesta , che come si ricorderà, portò al sequestro di beni per 35 milioni di euro riconducibili allo stesso ex deputato regionale un tempo vicino ad Andreotti come lo erano stati del resto i cugini Salvo.
Uno Sgarbi che getta la spugna, quindi. Tre anni di tentativi di perseguire la via dell’arte per sostenere che la mafia dello zoccolo duro di Trapani non esiste più “come organizzazione”. Nel corso dei quali persino un Matteo Messina Denaro, invitato più volte a battere un colpo per dimostrare la propria esistenza, destinato ad essere presente solo come un’ icona sia pure incoronata. E perfino l’influente Giammarinaro bollato come ininfluente. Tutto tempo sprecato? Smentito dai commissari con una poderosa relazione che si troverebbe già sul tavolo del nuovo ministro Cancellieri. Ma non si arrende Vittorio Sgarbi e al Corriere dichiara che andrà mercoledì dal ministro “con un mio dossier di 800 pagine per mostrare le cose fatte. Dove qualcuno vede infiltrazioni mafiose che io non vedo. Utilizzate per accusare il Giammarinaro mafioso che mafioso non è. Un paradosso troppo complicato, calato nella contrapposizione mafia e antimafia che qui tutto annulla. Comprese le mie denunce sulle pale eoliche dove davvero c’era mafia che ufficialmente tanti non vedevano”. Dimissioni si. Se si prendono per buone le sue intenzioni quando dice che è “meglio tornare al Nord. Forse per una candidatura a Parma”. Dimissioni no, quando dice: “chissà, magari rimango per fare il sindaco a Cefalù, Scicli, Agrigento...”.
Franco Lo Re