Lo scrive il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, nel suo ultimo libro Liberi Tutti. "Lo choc successivo alla strage di Capaci - continua Grasso - aveva messo in ginocchio lo Stato e gli investigatori cercavano tutte le strade per far cessare gli attentati e arrivare a catturare il latitante più pericoloso, Totò Riina".
Parlando delle stragi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Grasso spiega che "i moventi sono complessi e rispondono a una triplice logica": la vendetta (anche per i boss condannati con il maxiprocesso), la prevenzione (per il timore che venissero riprese le indagini su connubi fra imprenditoria, politica e mafia) e l'eversione", per "evitare che dopo Tangentopoli si potessero innescare mutamenti radicali della politica italiana".
Poi, riguardo la "trattativa", Grasso pone una domanda: "Chi, e per quale motivo, spinse Cosa nostra ad accelerare l'esecuzione della strage di via D'Amelio, tralasciando progetti, già in fase avanzata, di eliminazione di uomini politici?".