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05/03/2013 17:25:17

Continuano i progetti solidali dell'azienda agricola Kiarìa di Marsala

 Non si tratta di disoccupati o di soggetti in cerca di prima occupazione, bensì di ragazzi che hanno avuto problemi di tossicodipendenza, guai con la giustizia e che sconteranno la pena in modo alternativo alla detenzione: impareranno il mestiere di agricoltore.
Tutti i ragazzi provengono dal Centro di Solidarietà "Il Faro" grazie all'impegno di don Antonio Cannatà, responsabile e anima spirituale dalla comunità di contrada Rakalia.
Il lavoro nei campi dell'azienda Kiarìa è l'ultimo step di un percorso che consiste in diverse fasi: l'astinenza cioè l'introduzione della conoscenza delle regole, di consapevolezza del vissuto negativo che si è fatto nel passato, l'approfondimento personale e di relazione di gruppo all'interno della comunità e, infine, l'inserimento sociale e lavorativo.
"Sappiamo cosa significa il lavoro per ciascuno di noi - commenta Padre Cannatà - e in particolare per chi non lo ha mai cercato o trovato. Per alcuni ragazzi, addirittura è la prima volta, è la prima esperienza di un lavoro stabile. Noi cerchiamo di creare delle opportunità e delle collaborazioni con altre realtà come enti pubblici o enti privati per consentire un'introduzione nel mondo del lavoro".
In azienda i ragazzi scoprono la bellezza e l'importanza di avere un impegno, un occupazione, il contatto con persone all'esterno che offrono accoglienza, collaborazione. Questo li gratifica e gli garantisce anche una disponibilità economica che rappresenta per loro una possibilità, la gioia per poter mandare qualcosa alla loro famiglia o comunque di non dipendere dalle loro famiglie di provenienza.
"E' un percorso di autonomia - continua Padre Cannatà - che soltanto un esperienza lavorativa può dare, questa collaborazione con l'azienda agricola Kiarìa è una cosa davvero interessante e bella. Cii sono due ragazzi che sono inseriti nel capannone deve si seleziona la frutta e due ragazzi che si occupano della coltivazione. Noi cerchiamo di selezionare questi ragazzi in base al senso di responsabilità che dimostrano qui all'interno della struttura, in base alla voglia che hanno loto stessi di sperimentarsi, di affrontarsi e di rispettare le regole che ci sono qui dentro, non basta l'anzianità del programma terapeutico. Alcuni giudici sono sensibili a capire che ci vuole questa fase di inserimento perché è una fase molto delicata, una fase di sperimentazione di quello che si è acquisito nel percorso comunitario. Altri giudici considerano la comunità come un carcere privato dove bisogna stare chiusi dentro. Ad esempio tra i ragazzi inseriti adesso soltanto quattro hanno avuto l'approvazione del magistrato mentre altre due persone non sono state autorizzate dal magistrato nonostante avessero tutte le garanzie del caso".
Dopo aver completato il periodo di lavoro in azienda e il percorso terapeutico la percentuale di successo personale di questi ragazzi è altissima. Ovviamente la crisi occupazionale non giova anche a loro. Alcuni ritornano nel loro paese di origine, telefonano per una seconda possibilità, vorrebbero ritornare a Marsala per riprendere a lavorare nei campi etici e solidali dell'azienda agricola Kiarìa.