Non avrà un risarcimento per ingiusta detenzione Giuseppe Marino, arrestato per mafia e poi assolto. Lo ha deciso la Corte di Cassazione.
Marino era stato arrestato nell’aprile del 2004 nell’ambito dell’operazione Peronospera II con l’accusa di aver favorito i mafiosi che rubarono 12 milioni di lire custodite nella cassaforte del poliambulatorio Inam di Marsala. Il furto avvenne nel 2000 e Marino venne processato e poi assolto da ogni responsabilità. Il 63enne marsalese dopo l’assoluzione dai fatti che gli sono stati contestati ha chiesto un risarcimento danni per ingiusta detenzione, ma prima la corte d’Appello di Palermo e adesso la Cassazione hanno deciso che non c’è motivo di risarcire alcun danno. La decisione della Cassazione, confermando quanto deciso in secondo grado, deriva dal fatto che Marino nel corso durante gli interrogatori si sarebbe avvalso della facoltà di non rispondere. “Ma questa è una strategia dell’imputato”, commenta Stefano Pellegrino il legale dell’uomo. Marino è stato infatti rinchiuso per due settimane al carcere Pagliarelli di Palermo. Da quel momento, fino al 2008 fu sospeso dal lavoro con la decurtazione di metà stipendio. Marino è stato assolto in appello dopo la condanna a tre anni di carcere in primo grado, nel 2009, al Tribunale di Marsala. La sentenza di primo grado prevedeva anche un risarcimento danni di 14 mila euro in favore dell’Asl che si era costituita parte civile al procedimento.
Quindi nessun risarcimento incasserà Marino, ma lo dovrà versare all’Asp, come ha deciso un paio di mesi fa la Corte dei Conti che lo ha condannato a risarcire 6.500 euro per quel furto.
A tirare in ballo Marino era stato Mariano Concetto, ex vigile urbano, affiliato alla cosca marsalese, e oggi collaboratore di giustizia. Agli inquirenti Concetto aveva dichiarato che era stato Marino a dirgli dove si trovava l’ufficio del direttore sanitario. Ufficio in cui c’era la cassaforte con dentro i 12 milioni di lire. La difesa di Marino batte però sul fatto che l’ex impiegato Asp stava semplicemente rispondendo alla domanda di un vigile urbano, di cui non sapeva che in realtà era un mafioso e che voleva compiere un furto.
L’avvocato Pellegrino intanto ha presentato ricorso contro la decisione della Corte dei Conti che lo ha condannato a risarcire 6.500 euro per quel furto.