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24/11/2014 06:15:00

Frane e alluvioni, ecco la mappa del rischio in Sicilia e in provincia di Trapani

 Gli eventi atmosferici che hanno messo in ginocchio il paese nelle ultime settimane mostrano i limiti di un Paese che non impara mai dai propri errori.

Decenni di politiche dettate dalla logica del costruire ad ogni costo, anni di condoni e di poca lungimiranza presentano, per l’ennesima volta, un conto molto salato. Ed a pagarlo, come da prassi, sono i cittadini.
Per questo, occorre interrogarsi sulle misure adottabili in maniera preventiva per scongiurare il verificarsi eventi simili ogni volta che si presenta un'alluvione.
Nella mente di molti siciliani sono ancora vive le immagini del 2009 quando a Giampilieri, in provincia di Messina, un nubifragio causò la morte di 37 persone.
In quell’occasione, nonostante gli eventi di due anni prima, non vennero adottate misure sufficienti per evitare possibili conseguenze tragiche negli anni successivi.
Tra il 2000 ed il 2014 in Sicilia, gli eventi di natura catastrofica sono stati 78, i quali hanno causato 3354 miliardi di euro di danni e soprattutto la morte di 58 persone.
E’ il “Rapporto preliminare sul rischio idraulico in Sicilia” redatto dal Dipartimento della protezione civile della Regione Sicilia a fornire questi dati.
Il rapporto ha l’obiettivo di “sollevare la questione delle interferenze tra rete idrografica e impatto antropico che in numerosi casi ha comportato situazioni di criticità che hanno messo a dura prova il sistema locale di protezione civile”. Risulta essere, dunque, un “censimento delle interferenze tra urbanizzato e rete idrografica” che prende in considerazione “la condizione di elevatissima vulnerabilità del territorio”. Viene utilizzato il termine “nodo” per riferirsi alle situazioni di criticità idrauliche in corrispondenza delle intersezioni tra rete idrografica e urbanizzato.

Vengono analizzati fattori quali le trasformazioni delle geometrie dei corsi d'acqua come restringimenti o deviazioni, ostruzioni significative degli attraversamenti, strade che si sviluppano lungo i corsi d’acqua, ad esempio fiumare, riduzione delle sezioni utili di deflusso in corrispondenza di centri abitati, sbarramenti dei tracciati dei corsi d’acqua a seguito di realizzazione di fabbricati e torrenti trasformati in strade in ambito urbano (cosiddetti alvei-strada). Si tratta di fenomeni presenti nella realtà territoriale. I nodi si configurano pertanto come situazioni in cui è presente un potenziale rischio relativo all’interferenza tra acque superficiali ed elementi antropici.
In Sicilia il numero totale dei “nodi” è pari a 7975. Messina, con 2285 nodi, si trova al primo posto con una percentuale del 29% sul totale, seguita da Palermo che, con 1349 nodi, fa registrare un contributo del 17% sul totale.
Per quanto riguarda Trapani e provincia, il rapporto stima in 473 le possibili situazioni pericolose: a livello regionale, ciò equivale ad un’incidenza del 6%.
In provincia, la situazione più delicata sembra essere quella di Salemi, dove sono presenti circa 90 nodi.
A Marsala, invece, le zone di rischio potenziale sono pari a 20. Quanto alle zone limitrofe, il “Piano Stralcio di Bacino per l'Assetto Idrogeologico” della Regione Sicilia(2004) identifica in Punta Parrino, nei pressi di Sibiliana, una zona ad alto rischio a causa di “significativi fenomeni erosivi”.
Oltre ai fattori naturali, ad incidere sono soprattutto l´abusivismo edilizio e il disboscamento che porta via le radici degli alberi, cioè il migliore freno agli smottamenti.
Considerato quanto detto, l’obiettivo dovrebbe essere quello di implementare misure preventive per evitare che fenomeni del genere possano succedere.
Di fronte a queste criticità, un’alternativa potrebbe essere rappresentata dall’ingegneria naturalistica, disciplina trasversale che utilizza piante autoctone insieme a materiali non cementizi adatti a contrastare l’erosione del terreno ed aumentarne la stabilizzazione. Tuttavia, la Sicilia sembra essere poco aperta ad una possibilità del genere.
In merito alle problematiche attuali si è espresso Domenico Fontana, presidente regionale di Legambiente: “Noi siciliani abbiamo costruito laddove 60 anni fa nessuna persona dotata di buon senso avrebbe costruito ed oggi con questi fenomeni metereologici così estesi l’esposizione al rischio è grande. Le soluzioni sarebbero due: in sede Ue chiedere di allentare il rigore in presenza di progetti di messa in sicurezza dal rischio idrogeologico e fare politiche di indebitamento mirato, come ad esempio i bond finalizzati al finanziamento del piano di messa in sicurezza”.
Le opere previste richiederebbero anni di lavoro ed investimenti da miliardi di euro. Soldi che, però, la Regione non ha.  

PRIMI FONDI. Parte dalle città quella che il governo definisce “la più importante opera pubblica di cui l’Italia ha bisogno”: la messa in sicurezza del territorio per ridurre i rischi da frane e alluvioni a cui sono esposti milioni di cittadini e, soprattutto, porre fine alla conta dei morti.
A palazzo Chigi va in scena il primo atto del piano nazionale contro il dissesto idrogeologico, il faraonico progetto che prevede una spesa di 9 miliardi in 7 anni - cifre mai viste in Italia per la prevenzione - che, se attuato fino in fondo, potrebbe davvero rappresentare una cambiamento di rotta nella battaglia per fare dell’Italia un paese moderno e non più costretto a fare i conti con danni per 2,5 miliardi ogni anno.
Si parte dunque con uno stralcio dal valore di un miliardo: 700 milioni per le opere subito cantierabili nelle città - Roma, Milano, Napoli, Torino, Bari, Firenze, Bologna, Genova e Reggio Calabria più Cagliari, Messina Palermo e Catania, città di regioni a statuto speciale ancora non inserite nelle aree metropolitane - e 290 per la progettazione di quelle urgenti. Si tratta di 69 interventi che riguardano 1.131 comuni dove vivono 21 milioni di persone, il 40% della popolazione italiana, individuate dalle Regioni con il supporto delle autorità di bacino sulla base delle mappe di rischio di Ispra e Cnr. Per finanziarli il Governo utilizzerà una corsia preferenziale che prevede un anticipo di finanziamento chiesto alla Banca europea per gli investimenti sostenuto dalla garanzia dei 110 milioni inseriti nello Sbloccaitalia. Entro il 4 dicembre le Regioni dovranno presentare a palazzo Chigi gli elenchi completi degli interventi: spetterà poi al ministero dell’Ambiente stabilire con un decreto i criteri per definire le priorità.