Maurizio Lo Presti, noto avvocato di Alcamo, è stato condannato per tentata estorsione dal Tribunale di Trapani. La vicenda giudiziaria nasce dalla denuncia di due suoi ex clienti, Vincenzo Ferrantelli e Gaetano Santangelo. Si tratta di due dei condannati per la strage di Alcamo Marina, poi assolti, dopo 30 anni, grazie ad un processo di revisione, da tutte le accuse. Avevano denunciato di avere subito pressioni dal loro difensore affinché sottoscrivessero un contratto che prevedeva una quota della misura del 30% della somma che sarebbe stata liquidata all'esito della sentenza e il pagamento di un milione di euro in caso di recesso. Per gli inquirenti il legale avrebbe minacciato di non presentarsi in aula, nell'udienza finale, con gravi ripercussioni per i suoi assistiti che da oltre 30 anni attendevano la revisione. Ferrantelli e Santangelo non avrebbero ceduto alle pressioni decidendo di affidarsi alla fine all'avv. Baldassare Lauria, che aveva già assistito un loro coimputato, Giuseppe Gulotta. Lo Presti, dal canto suo, ha sempre sostenuto di avere affrontato tutte le spese nel corso del lungo percorso processuale per arrivare a ottenere la revisione del processo, resa possibile dalle rivelazioni di un brigadiere dei carabinieri, Renato Olino, il quale fece riaprire le indagini sugli imputati della strage della casermetta, che si addossarono tutte le colpe a seguito di gravissime torture.
BALLATORE. Comincia oggi il processo per Anna Maria Ballatore, 63 anni, impiegata alla cancelleria del Tribunale di Marsala, e accusata di concussione, attraverso il “tentativo di induzione indebita a dare o promettere utilità ad alcuni utenti”, e falso ideologico. Alla Ballatore - che nel maggio 2014, in esecuzione di un provvedimento del gip Annalisa Amato - fu posta agli arresti domiciliari dai carabinieri - si contesta di avere abusato della qualità e dei poteri connessi alla sua funzione di pubblico ufficiale. In un caso, dopo essere stata incaricata dal giudice tutelare di redigere l’inventario dei beni ereditari di due fratelli, di cui uno minore, avrebbe costretto l’erede maggiorenne, una donna, tutore del minore, a consegnare una somma di danaro (pare, alcune centinaia di euro) e a sottoscrivere un atto nel quale attestava di non avere corrisposto alcuna somma di denaro, mentre in un’altra occasione avrebbe tentato di indurre un avvocato, che assisteva una vedova, madre di due minori, nel procedimento di accettazione dell’eredità del proprio defunto marito, a corrisponderle una somma di denaro contante sempre per redigere l’inventario dei beni ereditari. Nel primo caso, in particolare, veniva spiegato nella nota diffusa dai carabinieri dopo l’arresto, “le indagini hanno acclarato come l’indagata, in un primo momento, aveva trattenuto presso la cancelleria il fascicolo contenente l’istanza con la quale la parte offesa chiedeva di essere nominata tutore del di lei fratello minore, per oltre 5 mesi, senza trasmetterlo al Giudice tutelare; successivamente, una volta incaricata della redazione dell’inventario dei beni ereditari in quel procedimento, aveva preteso ed ottenuto dalla denunciante il pagamento di una somma di danaro con la minaccia che, in caso contrario, non avrebbe redatto l’inventario e rappresentando alla donna che, trattandosi di un compito particolarmente complesso, la sua rinuncia a quell’incarico avrebbe provocato per lei un ulteriore indeterminato ritardo, irrimediabilmente pregiudizievole dei diritti suoi e del suo pupillo”. L’inchiesta, scattata dopo una denuncia, è stata coordinata dal procuratore Alberto Di Pisa e dal sostituto Antonella Trainito. Quattro le parti civili: Sara Bonafede e gli avvocati Riccardo Marceca, Antonella Caruso e Smeralda Rubino. A difendere la cancelliera finita sotto processo sono gli avvocati Vincenzo Bonanno, Stefano e Gabriele Pellegrino. Per l’ipotesi di concussione ad opera di un pubblico funzionario il codice penale prevede una condanna da sei a dodici anni di carcere.
LIBRIZZI. Con l'accusa di concussione e violenza sessuale sugli immigrati, inizia anche il processo a Trapani, con il rito abbreviato, per Don Sergio Librizzi,. Sarà giudicato sulla base degli atti d'indagine e, in caso di condanna, beneficerà della riduzione di un terzo della pena. L'ex direttore della Caritas di Trapani è finito in manette l'estate scorsa. I casi contestati sono otto. E gli incontri sarebbero avvenuti anche all'interno della sua auto. In cambio il prete si sarebbe impegnato ad agevolare gli iter per il riconoscimento dello status di rifugiato politico. Per sei mesi gli investigatori hanno pedinato ed intercettato don Sergio Librizzi. Una microspia, collocata a bordo della sua auto, ha registrato i suoi incontri con le vittime. Secondo gli inquirenti, l'ex direttore della Caritas avrebbe abusato del suo ruolo di componente della Commissione territoriale. Alle vittime avrebbe detto di essere in grado con una sola parola di fare ottenere loro il permesso di soggiorno ma anche di farli rimpatriare nel paese d'origine.