Due testi della difesa sono stati ascoltati, in Tribunale, a Marsala, nel processo scaturito dall’indagine dei carabinieri che nel luglio 2013 è sfociata nella chiusura del locale (per l’accusa, a luci rosse) “Cupido Club” di contrada Berbarello e in cinque misure cautelari: tre arresti domiciliari e due obblighi di dimora nel Comune di residenza. Al processo sono, però, arrivati in due: Francesco Bianco e Diego Marino. Bianco, proprietario dell’immobile, non è accusato comunque di aver avuto un ruolo nella gestione del club. Gli altri tre indagati, infatti, e cioè Giovanni Candela, di 42 anni, legale rappresentante della coop ‘’Cupido One’’, Andrea Figuccia, di 60, e il figlio Vincenzo, di 30, hanno preferito patteggiare la pena, evitando così condanne probabilmente più pesanti. Al momento dell’irruzione dei carabinieri, nel locale erano presenti una ventina di clienti, sollazzati da 21 ragazze, in gran parte dell’Est Europa e nordafricane. Nel night, i militari trovarono anche mezzo grammo di cocaina. I testi ascoltati, citati dall’avvocato Arianna Rallo, sono stati una ballerina e un cliente. La prima (R.E.) ha dichiarato: “I privee erano a vista, separati solo per mezzo di tende bianche e molto leggere. Si vedeva tutto quello che accadeva dentro anche perché la luce era sempre accesa”. La ragazza ha aggiunto che fece la ballerina nel nightclub due volte. Per una settimana nel 2012 e per due mesi nel 2013. “Marino – ha proseguito - si occupava del servizio bar”. Il cliente ha confermato di non aver mai visto nel locale “scene di sesso, né ragazze nude”. Il 13 maggio saranno ascoltate altre ragazze che al “Cupido club” ballavano e si esibivano nella “lap dance”. In precedenza, nel corso del processo, uno dei carabinieri che si finsero clienti per accertare quanto accadeva all’interno del “Cupido”, ha dichiarato che pagando 50 euro era possibile “andare dietro un privè con una ragazza e assistere al suo spogliarello”. Lo stesso militare ha detto che “Diego Marino faceva il cameriere e vigilava sui privè”. Nel locale, per otto serate, furono effettuate intercettazioni audio-video. “Le ragazze – ha già spiegato un altro carabiniere finto cliente - indossavano solo minigonne molto corte o perizoma e reggiseno. Ci abbordavano al bar e poi sui divani, strusciandosi, ci invitavano ad andare nei privè. Mi dicevano che potevamo avere rapporti sessuali pagando 150 euro. Per 50, invece, ci dicevano che ci avrebbero fatto “divertire” per 10 minuti. In non sono andato nel privè, c’è andato un altro ufficiale di pg (Griso, ndr) che poi mi raccontò che la ragazza si spogliò e, nuda, ballava e si faceva accarezzare”. L’indagine era stata avviata a seguito dei tre incendi dolosi tra il dicembre 2011 e il febbraio 2012. Disposti, quindi, servizi di osservazione ed intercettazioni, non solo si scoprivano autori e mandanti dei danneggiamenti, ma si fece luce anche su quanto avveniva all’interno del Cupido Club. Veniva così scoperta un’organizzazione che dietro le forme di un’associazione, secondo l’accusa, ‘’celava una vera e propria casa di prostituzione’’. Andrea Figuccia, vice presidente, con il figlio Vincenzo, prima barista e poi vice amministratore, e Diego Marino, avrebbe controllato, diretto e amministrato l’intera attività. Giovanni Candela, invece, aveva il compito di reclutare le ragazze, acquisendo informazioni su età, caratteristiche fisiche ed esperienza nel settore. Nella logistica, Candela era coadiuvato da Andrea Figuccia. Vincenzo Figuccia e Diego Marino avevano la supervisione dei pagamenti, cronometrando addirittura anche il tempo trascorso dai clienti con le prostitute e incassando le somme. Alle ragazze, infine, pare, andasse anche il 50% sulle consumazioni.