Totò Riina non testimonierà al processo Borsellino Quater. Sta male e qualora stesse bene si avvarrebbe della facoltà di non rispondere. E' questo quanto reso noto al processo Borsellino quater dal legale del “Capo dei Capi”, Luca Cianferoni. L'avvocato ha infatti riferito che il capomafia, recentemente ricoverato in ospedale e poi dimesso, soffre di gravi problemi neurologici tanto che non riesce nemmeno più a scrivere. Il difensore di Riina ha quindi precisato che il suo cliente ha intenzione di avvalersi della facoltà di non rispondere in quanto imputato di reato connesso.
Dopo le comunicazioni dell'avvocato i pm Gabriele Paci e Stefano Luciani hanno rinunciato all'esame di Riina che a questo punto non deporrà al processo per la strage di via d'Amelio.
Intanto ieri al processo che vede imputati per strage Salvo Madonia e Vittorio Tutino, e per calunnia Vincenzo Scarantino, Francesco Andriotta e Calogero Pulci sono stati sentiti come teste il questore Calogero Germanà ed il giudice Salvatore Scaduti. Quest'ultimo ha ricostruito la genesi della relazione da lui redatta, con cui parlò con lo stesso Paolo Borsellino, in seguito all'intimidazione ricevuta alla vigilia della Camera di consiglio per la sentenza del processo sull'omicidio del capitano Basile. Scaduti segnalò nella relazione che il notaio Pietro Ferraro lo aveva contattato chiamandolo al numero di telefono riservato dell'aula-bunker dell'Ucciardone. “Ricevetti una telefonata - ha detto in aula - e io scrissi una relazione anche di questo e ne parlai con Paolo, questo signore venne a dirmi delle cose, una richiesta pressante per un appuntamento con insistenze di un politico che doveva partire. La telefonata era di questo Ferraro. Mi disse di questo politico. In un primo momento disse che era l'onorevole Mannino che lo mandava e che doveva partire ma poi mi dice 'No, che Mannino, è un politico che è rimasto trombato alle ultime elezioni'. Insomma cambiò versione”.
A compiere accertamenti sulla relazione fu il Questore Calogero Germanà, nel 1992 applicato alla Criminalpol di Palermo. “Mi fu data questa delega di indagini che conteneva diversi capitoli su cui compiere accertamenti – ha detto in aula quest'ultimo rispondendo alle domande dell'avvocato Fabio Repici - Io ricordo che consegnai il rapporto intorno al 20 maggio 1992, due giorni prima della strage di Capaci ed era di 20-30 pagine. Punto nodale della delega era identificare un parlamentare di nome Enzo, riconducibile a un'azione che tendesse a influenzare l'esito di del processo per l'omicidio Basile, che si era risolto con un incontro promosso dal notaio Pietro Ferraro nei confronti di Scaduti sull'omicidio del capitano Emanuele Basile. Dovevo identificare questo parlamentare di nome Enzo. E poi c'era anche un aspetto sulla massoneria". “In particolare il notaio era stato sollecitato da un parlamentare di nome Enzo di area manniniana e da lì siamo partiti – ha aggiunto – Inserimmo una rosa di nomi di parlamentari regionali di nome Enzo, poi c'erano accertamenti compiuti anche con il sindaco di Castelvetrano. Dagli accertamenti venne fuori che il padre di Ferraro era un Gran Maestro della massoneria. Nel rapporto inserii che era in contatto anche con un altro grande maestro, Luigi Savoca, torinese che era amico dei mazaresi. C'era questa cosa che Cosa nostra trapanese aveva capacità di muoversi anche nel contesto della massoneria. Eravamo arrivati a individuare tre parlamentari trombati nel '91, poi nell'area massonica, e poi bisognava individuare l'area manniniana. Nella rosa dei parlamentari di nome Enzo il fascicolo era arrivato a Marsala perché si era arrivati a un certo Enzo Culicchia. Mi sono mosso in questa direzione. Un giorno venni avvicinato dal segretario di Culicchia, chemi disse che non era Culicchia l'Enzo che cercavamo ma era Enzo Inzerillo il parlamentare manniniano trombato”.
Dopo la presentazione del rapporto Germanà venne spostato nuovamente a Mazara del Vallo. “Borsellino rimase contrariato – ha ricordato rivolgendosi alla Corte – diceva 'io questa cosa non la vedo proprio'. Gli dissi di non averlo chiesto io. Di questo trasferimento non chiesi spiegazioni ai superiori. L'ho accettato. Non l'ho vissuto come una diminutio perché non è mio costume pensare a queste cose. Poi Paolo, quando venne per il commiato alla Procura di Marsala mi disse di star pronto che voleva propormi come dirigente della Mobile o alla Dia”. Il processo è stato quindi rinviato al prossimo 13 gennaio.
PANETTONE. È il giorno di Natale e Totò Riina ricoverato all'ospedale di Parma per una crisi respiratoria appare curioso di conoscere il menù della giornata. Dal lettino d'ospedale a Riina l'unica cosa che sembra interessare è avere il panettone a Natale. Il boss a volte immagina di poter ricevere lo stesso trattamento che aveva durante la sua latitanza, quando ogni suo desiderio doveva essere subito esaudito dai suoi sudditi. Ma per lui niente panettone e il boss si lamenta. Il racconto del Natale del boss in ospedale è pubblicato da l'Espresso nel numero in edicola da domani. L'Espresso parla anche di Bernardo Provenzano: anche lui ha trascorso il Natale in ospedale. Per mantenere in vita Provenzano è necessario che prosegua il suo ricovero in isolamento nella camera di sicurezza allestita al San Paolo di Milano. Se il boss venisse collocato in un reparto ospedaliero comune, la sua sopravvivenza - come sostengono i giudici della Cassazione - sarebbe a "rischio", per la "promiscuità" dell'ambiente. La sua situazione, comunque, è molto lontana da quella di Riina, ritenuto ancora in grado di nuocere, scrive il settimanale.