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03/12/2016 06:30:00

Marsala. Ecco perchè Michele Licata è stato condannato a 4 anni e mezzo

 Quattro anni, 5 mesi e 20 giorni di carcere. E’ questa, con precisione, la pena inflitta dal gup Riccardo Alcamo a Michele Licata, l’ex “re” del settore del settore ristorazione-alberghiero in Sicilia occidentale, processato con rito abbreviato per una colossale evasione fiscale, truffa allo Stato e malversazione. Per un capo d’imputazione (falso materiale in scrittura privata) il giudice ha dichiarato il “non doversi procedere” perché “non più previsto dalla legge come reato”. All’imprenditore, per il quale pubblico ministero Antonella Trainito aveva chiesto 6 anni e mezzo, è stata concessa l’attenuante d’aver pagato, anche per mezzo degli amministratori giudiziari, i debiti tributari. Michele Licata, però, è stato interdetto per due anni dai pubblici uffici e soprattutto dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese, nonché di contrattare con la pubblica amministrazione. Idem, anche se solo per un anno, le figlie Clara Maria e Valentina, che hanno patteggiata la pena detentiva. La prima ha concordato una pena a 1 anno, 4 mesi e 10 giorni, la seconda a 1 anno, 1 mese e 10 giorni. Il patteggiamento prevede la sospensione della pena. Il giudice Alcamo ha, poi, disposto la pubblicazione della sentenza, seppure per estratto, mediante affissione nei Comuni di Marsala e Petrosino (dove sono le aziende finite nell’occhio del ciclone) e per 15 giorni nel sito internet del Ministero della Giustizia. Il magistrato ha, quindi, ritenuto giusto dare congrua pubblicità alla sua sentenza. L’evasione fiscale contestata al “gruppo Licata” (Iva e tasse non pagate tra il 2006 e il 2013) è stata stimata da Procura e Guardia di finanza in circa 6/7 milioni di euro, mentre i finanziamenti pubblici per la realizzazione di alberghi e ristoranti “indebitamente” percepiti ammonterebbero a circa quattro milioni di euro. Il reato di malversazione è stato, invece, contestato a Michele Licata per aver sottratto alle sue società denaro per fini personali. Circa un milione e 800 mila euro. Denaro che, però, dice l’avvocato difensore Carlo Ferracane, “è stato già stato restituito”. A Michele Licata non è stato concesso di patteggiare la pena, limitando così i danni, perché, a giudizio dell’accusa, le sue colpe sono rilevanti. Sarebbe lui, infatti, il “deus ex machina” della colossale evasione fiscale e della truffa allo Stato, nonché il “dominus” del gruppo imprenditoriale. Per tentare di attutire la “botta”, a fine gennaio, i legali del gruppo Licata (avvocati Carlo Ferracane, Stefano Pellegrino, Salvatore Pino e Gioacchino Sbacchi), hanno chiesto lunghi rinvii per consentire all’amministrazione giudiziaria di versare all’Agenzia delle Entrate tutte le tasse evase. Ancora, però, per saldare il debito con lo Stato, occorre pagare circa un milione e mezzo di euro. Il procedimento approdato davanti al Gup Riccardo Alcamo è quello relativo al sequestro “preventivo d’urgenza” di somme di denaro, quote societarie, beni mobili e immobili, per un valore di circa 13 milioni di euro, nonché quote sociali e beni mobili e immobili di quattro complessi aziendali per un valore stimato in circa 90 milioni di euro, effettuato il 21 aprile 2015 da Procura e Fiamme Gialle. Questo primo sequestro ha riguardato il ristorante-sala ricevimenti “Delfino”, il “Delfino Beach”, l’agriturismo “La Volpara” e il “Baglio Basile” (albergo-ristorante-sala convegni-centro benessere con piscina). E “per equivalente” anche quote delle relative società, nonché de “L’arte bianca” e “Sweet Tempation” (panificazione) e “Rakalia” (assistenza residenziale). In novembre, dopo il coinvolgimento di altri familiari, seguì il sequestro disposto, sempre su richiesta della Procura di Marsala, della sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Trapani (beni per un valore di 127 milioni). Dopo questo ulteriore sequestro, gli investigatori definirono Michele Licata “abituale evasore fiscale socialmente pericoloso”. L’indagine sfociata nel crollo dell’impero finanziario di Michele Licata è stata condotta dalla sezione di pg della Guardia di finanza della Procura di Marsala e dal nucleo di polizia tributaria delle Fiamme Gialle del Comando provinciale di Trapani. A coordinare il lavoro dei militari sono stati l’ex procuratore Alberto Di Pisa e i sostituti Nicola Scalabrini (nella fase inziale) e Antonella Trainito.