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28/05/2018 08:43:00

Processo a Bianchi per traffico rifiuti, super periti confermano le ipotesi dell'accusa

 I periti super partes nominati dal giudice monocratico Matteo Giacalone nel processo all’81enne imprenditore marsalese di origine ligure Giuseppe Bianchi, accusato di “traffico illecito di rifiuti”, hanno sostanzialmente confermato quanto già accertato dal consulente tecnico della Procura, Vincenzo Nicolì, vice presidente dell’Ordine interprovinciale dei chimici di Palermo, sugli scarichi di liquidi, per l’accusa inquinanti, della Sicilia Acquaviti di contrada Digerbato-Bartolotta.

I due super periti nominati dal giudice per dire una parola definitiva sul caso sono gli ingegneri Luigi Boeri e Daniele Martelloni. Ai due professionisti, il primo con studio a Pisa, l’altro a Livorno, il giudice ha posto cinque quesiti. Loro hanno risposto con una relazione di ben 108 pagine. E pur affermando di non poter rispondere con assoluta certezza a qualcuno dei quesiti posti dal giudice, i due ingegneri scrivono: “Certamente, anche in considerazione della mancata messa in esercizio dell’impianto di depurazione, sorge il legittimo interrogativo sulla destinazione delle borlande in eccesso rispetto a quelle contenute nei serbatoi di stoccaggio al momento del sequestro preventivo operato in ottemperanza al Decreto del GIP del Tribunale di Palermo il 5 maggio 2014, e sulle acque meteoriche raccoltesi nel tempo nei bacini all’interno dei quali sono collocati i serbatoi di stoccaggio. Le differenze registrate con i bilanci di materia, sia nell’ipotesi di minima che di massima - come consta dalla forbice dei valori calcolati - non trovano sulla base delle risultanze delle indagini giustificazione logica. Peraltro, in relazione ai campionamenti di suolo effettuati da ARPA Sicilia in data 3 giugno 2013, per poter valutare una possibile contaminazione o, più in generale, una alterazione delle caratteristiche del terreno connessa con lo sversamento di borlande o altri residui della disalcolazione delle vinacce, si ritiene che i risultati ottenuti sui campioni di suolo prelevati dalla carota estratta dal sondaggio siano compatibili con lo sversamento di borlande e/o acque da queste contaminate e/o da liquidi con analoghe caratteristiche (ad esempio, liquidi derivanti dalla lisciviazione di vinacce da parte di acque meteoriche)”. Nel febbraio 2017, in aula, il consulente della Procura, Vincenzo Nicolì, aveva confermato che la quantità di scarti industriali prodotti nei sette anni di attività dal 2007 al 2013 dalla Sicilia Acquaviti di contrada Digerbato-Bartolotta ammontano a 11.000 metri cubi circa di reflui complessivi e 65.000 tonnellate di vinacce esauste. I quantitativi di scarti liquidi dedotti dal consulente derivano dalla quantità di vapore acqueo necessario alla “disalcolazione”, ovvero l’estrazione dell’alcol dalla vinaccia fresca per la produzione delle flemme alcoliche. Calcolo quest’ultimo, a detta del consulente dell’accusa, approssimato per difetto e quindi a favore della stessa Sicilia Acquaviti, in quanto non considerati i quantitativi di acqua inserita nel disalcolatore dal “mastro distillatore”, necessari comunque al processo produttivo. In conclusione, in contrasto con quanto dichiarato dalla difesa che l’unico scarto liquido che si forma proviene dalla distillazione delle flemme, la quantità di reflui industriali smaltiti “illecitamente”, in quanto non avviati a depurazione, ammontano a 11.000 metri cubi. Mentre, invece, le vinacce esauste sono da considerarsi “rifiuto”, considerata la volontà della ditta di disfarsene. Nel febbraio 2016, erano stati quattro ex dipendenti della distilleria Bianchi e della Sicilia Acquaviti a confermare, in aula, le accuse che hanno fatto scattare l’inchiesta della sezione di pg della Guardia di finanza della Procura sfociata nel processo a Giuseppe Bianchi. Uno degli operai, Paolo Maurizio Pipitone, rispondendo alle domande del pm Giulia D’Alessandro, dichiarò: “Avevamo l’ordine di scaricare, di notte, nelle acque del porto, i residui della distillazione. Ciò attraverso una conduttura sotterranea. Nell’impianto della Sicilia Acquaviti, invece, scaricavamo le borlande dentro una cava di tufo e poi con una pala meccanica si copriva tutto con terriccio. Eravamo costretti a farlo sotto larvata minaccia di licenziamento”.

Sulla stessa lunghezza d’onda si espressero anche gli altri operai ascoltati: Vincenzo Lombardo, Vito Barraco e Filippo Giacalone. Dalla loro denuncia è scattata l’inchiesta. Gli operai hanno tirato in ballo, come “mandanti”, anche altri dirigenti dell’azienda.

A difendere Bianchi sono gli avvocati Paolo Paladino e Maria Letizia Pipitone.