“E’ mai possibile che appena vengono disposte intercettazioni, già tutti lo sappiano? I carabinieri hanno detto che mai e poi mai lo avrebbero rivelato”. E’ stato questo uno dei principali passi della requisitoria del pubblico ministero Antonella Trainito nel processo “Pecoraro Vito + 3”.
Una requisitoria che si è conclusa con la richiesta di condanna di tre poliziotti fino al 2015 in servizio a Mazara accusati a vario titolo di abuso d’ufficio, falso in atto pubblico, calunnia, favoreggiamento e rivelazione di segreto d’ufficio.
Sei anni di carcere sono stati invocati per il sovrintendente Vito Pecoraro, di 56 anni, e per l’assistente Vincenzo Dominici, di 49. Tre anni e mezzo, invece, sono stati chiesti per il sovrintendente Antonio Sorrentino, di 56, e l’assoluzione per il commissario capo C. N., di 33.
Quest’ultimo, ex dirigente del Commissariato di Mazara, difeso dall’avvocato Antonino Sugamele, è imputato per divulgazione di segreto d’ufficio. Secondo l’iniziale accusa, nell’ottobre 2014, avrebbe rivelato l’esistenza di una denuncia, presentata in commissariato contro due carabinieri, al comandante della Compagnia dei carabinieri di Mazara del Vallo. Nel corso del processo, però, il questore Agricola ha detto di averlo autorizzato. “Anche se probabilmente – ha detto il pm Trainito – N. non ha ben compreso quanto gli ha comunicato il questore, che non gli disse di rivelare nomi e accuse”. L’inchiesta, svolta dalla sezione di pg della Guardia di finanza della Procura di Marsala, all’epoca diretta dal luogotenente Antonio Lubrano (con braccio destro il maresciallo Salvatore Missuto), è nata in seguito agli sviluppi del procedimento che, il 6 luglio 2015, in Tribunale, ha visto condannati Pecoraro e Dominici a tre anni di reclusione ciascuno, nonché a 5 di interdizione dai pubblici uffici, per falso ideologico in concorso. Processo nel corso del quale è scaturita l’indagine che vede Pecoraro e Dominici, insieme con Sorrentino, accusati di avere redatto una relazione di servizio, per la Procura “falsa”, in quanto retrodatata, proprio al fine di scagionare i primi due poliziotti dalle imputazioni. A Pecoraro e Dominici si contesta il fatto di non avere adottato, nel 2012, alcuna sanzione (né sequestro, né multe) dopo avere fermato, ad un posto di blocco, un’auto (Fiat Panda) priva di copertura assicurativa, non revisionata e su cui gravava anche un fermo amministrativo dell’Agenzia delle Entrate. Sul mezzo, però, i carabinieri avevano piazzato una microspia. Il proprietario, Vittorio Misuraca, quel giorno in compagnia di una prostituta sudamericana, era infatti indagato per sfruttamento della prostituzione. Ma il 30 giugno 2014, davanti il Tribunale di Marsala, nel processo ai due colleghi, il sovrintendente Sorrentino dichiarò che c’era una relazione di servizio, datata 19 aprile 2012, in cui Pecoraro spiegava che al posto di blocco non furono adottati provvedimenti perché sapeva che sull’auto c’era la microspia dei carabinieri. Dall’indagine condotta, però, da Procura e sezione di pg della Guardia di finanza, sarebbe emerso che la relazione di servizio sarebbe stata redatta nel 2014. Quindi, parecchio tempo dopo.
Il 10 luglio sarà il turno degli avvocati difensori: oltre a Sugamele, Giuseppe De Luca, Gianni Caracci, Paolo Paladino, Maurizio D’Amico e Stefano Pellegrino. Poi, sarà il Tribunale presieduto da Vito Marcello Saladino (giudici a latere Matteo Giacalone e Mariapia Blanda) a dire l’ultima parola.