Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Se vuoi saperne di più negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi.
Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie. Cookie Policy   -   Chiudi
17/07/2018 06:00:00

Marsala, processo per sversamento rifiuti, il pm invoca condanne

 Il pubblico ministero Giulia D’Alessandro ha invocato la condanna a un anno e mezzo di reclusione per l’81enne imprenditore marsalese di origine ligure Giuseppe Bianchi, processato davanti al giudice monocratico Matteo Giacalone con l’accusa di “traffico illecito di rifiuti”.

Per la Procura, infatti, gli scarichi di liquidi della Sicilia Acquaviti di contrada Digerbato-Bartolotta sarebbero inquinanti. Una tesi che, naturalmente, viene fortemente contestata dalla difesa, rappresentata dagli avvocati Paolo Paladino e Maria Letizia Pipitone.

Nel febbraio 2017, in aula, il consulente della Procura, Vincenzo Nicolì, aveva affermato che la quantità di scarti industriali prodotti nei sette anni di attività dal 2007 al 2013 dalla Sicilia Acquaviti di contrada Digerbato-Bartolotta ammontano a 11.000 metri cubi circa di reflui complessivi e 65.000 tonnellate di vinacce esauste. I quantitativi di scarti liquidi dedotti dal consulente derivano dalla quantità di vapore acqueo necessario alla “disalcolazione”, ovvero l’estrazione dell’alcol dalla vinaccia fresca per la produzione delle flemme alcoliche. Nel febbraio 2016, erano stati quattro ex dipendenti della distilleria Bianchi e della Sicilia Acquaviti a confermare, in aula, le accuse che hanno fatto scattare l’inchiesta della sezione di pg della Guardia di finanza della Procura sfociata nel processo a Giuseppe Bianchi. Uno degli operai, Paolo Maurizio Pipitone, rispondendo alle domande del pm Giulia D’Alessandro, dichiarò: “Avevamo l’ordine di scaricare, di notte, nelle acque del porto, i residui della distillazione. Ciò attraverso una conduttura sotterranea. Nell’impianto della Sicilia Acquaviti, invece, scaricavamo le borlande dentro una cava di tufo e poi con una pala meccanica si copriva tutto con terriccio. Eravamo costretti a farlo sotto larvata minaccia di licenziamento”. Sulla stessa lunghezza d’onda si espressero anche gli altri operai ascoltati: Vincenzo Lombardo, Vito Barraco e Filippo Giacalone. Dalla loro denuncia è scattata l’inchiesta. Gli operai hanno tirato in ballo, come “mandanti”, anche altri dirigenti dell’azienda. La difesa, però, fa notare che gli operai potrebbero avere il dente avvelenato contro Bianchi perché questi li ha licenziati e loro (o comunque alcuni di loro) hanno perso le cause intentate davanti al giudice del lavoro.