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23/09/2018 08:12:00

L’avvocato Antonino Arangio assolto dall’accusa di minacce

L’avvocato marsalese Antonino Arangio è stato assolto dall’accusa di minacce, che sarebbero state proferite nell’ambito di discussioni e contrasti sorti nella liquidazione di una società.

A denunciare il legale, nel 2013, era stato un dottore in Agraria (V.Z.), che nel processo si è costituito parte civile con l’assistenza legale di Roberta Tranchida.

A pronunciare la sentenza di assoluzione, su richiesta dello stesso pm, è stato il giudice di pace Caterina Tumbiolo. Inizialmente, nello stesso procedimento, sempre sulla base della stessa querela, era stata indagata per ingiuria (secondo l’accusa, avrebbe apostrofato V.Z. come “pecoraio”) anche la moglie di Arangio, Elvira Mariangela Giulietta Romeo, 61 anche, anche lei avvocato. Ma poi questo il reato di ingiuria è stato depenalizzato, rientrando nel novero di quelli che eventualmente possono essere perseguiti solo sul piano civile. Nell’invocare l’assoluzione di Arangio, difeso dall’avvocato Gaetano Di Bartolo, il pm (un vice procuratore onorario) aveva, inoltre, chiesto al giudice anche la condanna al querelante al pagamento delle spese processuali, nonché le spese della controparte, parlando di “lite temeraria”. Quest’ultima, però, esiste nel diritto civile, ma non nel penale. E infatti il giudice non ha accolto tale richiesta. Nel penale esiste, se i fatti denunciati non corrispondono al vero o sono totalmente ricostruiti, la calunnia. E quindi l’avvio di un nuovo procedimento per calunnia o falso. Un anno fa, l’avvocato Arangio è stato condannato, insieme alla moglie, a due anni di reclusione e 4 mila euro di multa (con pena sospesa) dal giudice monocratico Matteo Giacalone per illecito possesso di materiale di interesse archeologico (due antiche anfore). La pena fu molto più severa di quella invocata dal pm. Quest’ultimo, infatti, aveva invocato un mese di reclusione e 200 euro di multa per la semplice detenzione dei reperti (due antiche anfore), mentre il giudice Giacalone ha sentenziato due anni di reclusione e 4 mila euro di multa. Comunque, con pena sospesa. Il procedimento è scaturito da un controllo effettuato, il 23 aprile 2014, dai carabinieri del nucleo tutela patrimonio artistico sulla base di una segnalazione anonima nello studio legale della coppia, in via Dante Alighieri (ex Circonvallazione). A far scattare la perquisizione fu una lettera anonima. Evidentemente, qualcuno sapeva della presenza di quelle anfore nello studio legale. Nel corso del processo, Elvira Romeo ha dichiarato che si trattava di anfore avute in donazione dal padre, che nel frattempo era deceduto. E quindi non ha potuto confermare. Marito e moglie si sono dichiarati meri detentori dei due reperti. La legge, però, prevede che tutti i beni aventi un interesse storico, artistico o archeologico trovati in possesso di privati, salvo che questi non diano prova di legittimo acquisto, si presumono di provenienza illecita. Oltre a condannare i due imputati, il giudice Giacalone, nel settembre 2017, ha disposto anche la confisca delle anfore.