A rischio la norma che mette un tetto alle pensioni d’oro degli ex dirigenti della Regione Siciliana. A decidere se la legge, votata dall'Ars nel 2014, durante il governo Crocetta, è costituzionale o meno sarà la Consulta. La Corte d’appello della sezione giurisdizionale della Corte dei conti, chiamata a decidere sul ricorso di Piero Di Maggio, ha sollevato il dubbio e ha inviato le carte a Roma. E, nel caso in cui i giudici romani dovessero riconoscere che la legge siciliana è illegittima, le conseguenze sarebbero pesantissime per le casse regionali: tutti gli ex dirigenti che hanno subito il prelievo forzoso sulle loro pensioni, sopra il limite di 160 mila euro, avrebbero diritto a ricevere quanto finora trattenuto.
Il tetto alle super pensioni degli ex dirigenti regionali è stato istituito nel 2014. Dal luglio di quell'anno fino al 31 dicembre 2016 gli ex impiegati della Regione hanno percepito soltanto una parte della propria pensione. Poi, alla fine del 2016, il tetto è stato prorogato fino al 31 dicembre 2019. In questo modo la Regione puntava a risparmiare risorse del proprio bilancio. Per i giudici contabili ci sono, però, molte ragioni per ritenere che la legge regionale siciliana sia stata scritta male e non rispetti le regole della Costituzione: ecco perché il collegio guidato da Giovanni Coppola ha deciso di chiedere il parere della Corte costituzionale.
Nell’ordinanza in cui la Corte dei conti dichiara che i dubbi di legittimità siano chiaramente fondati sono numerosi gli aspetti che vengono ritenuti non conformi alla Costituzione.
Il primo dei dubbi riguarda proprio il fatto che il tetto delle pensioni a 160 mila euro assomigli più ad una tassa che a un contributo di solidarietà. La Corte costituzionale occupandosi di altre questioni simili, infatti, ha ammesso che le leggi che mettono tetti alle pensioni sono valide solo se servono per creare un riequilibrio fra le generazioni di lavoratori all’interno del sistema pensionistico. Per i giudici delle leggi, insomma, sarebbe corretto chiedere ai pensionati di percepire una pensione minore per agevolare altri lavoratori più giovani o beneficiari di sussidi.
Il Fondo pensioni ha invece affermato che i soldi non erogati come super pensione “non restano affatto nell’ambito del circuito previdenziale per il perseguimento di finalità solidaristiche o perequative, ma vengono a configurarsi come mere ‘economie di bilancio’ a vantaggio della Regione Siciliana”. Dal tetto alle pensioni d’oro, quindi, c’è solo un risparmio per il bilancio regionale e così non si potrebbe parlare di contributo di solidarietà nel sistema previdenziale quanto più di una tassa.
Il tetto alle pensioni, poi, è ritenuto dai giudici giustificabile se imposto come misura eccezionale per sopperire a esigenze straordinarie. Essendo valido però per cinque anni e sei mesi per la Corte dei conti il tetto è “palesemente esorbitante rispetto al prospettato soddisfacimento di esigenze finanziarie straordinarie e contingenti dell’Amministrazione regionale”. Oltre cinque anni di tetto non sono una misura eccezionale anzi i legislatori siciliani, scrivono i giudici in un altro punto della decisione, farebbero ricorso a questo strumento in modo ricorrente per reperire fondi.
Poi c’è la questione se il tetto di 160 mila euro sia corretto o meno. I giudici della Corte dei conti spiegano che la pensione è uno stipendio differito. Un tetto indistinto sarebbe così sbagliato perché non prenderebbe in considerazione il passato da lavoratore del pensionato che aveva particolari mansioni, anzianità e responsabilità da altre categorie di impiegati.
Il tetto indistintamente fissato a 160 mila euro, però, non solo non risulta proporzionale ma non sarebbe neanche sostenibile: i tagli alle pensioni d’oro, infatti, dovevano essere calcolati rispetto al valore originario della pensione. Insomma, si è levato troppo a chi aveva diritto a tanto.
Infine, c’è il problema dell’uguaglianza. Durante il loro ragionamento i magistrati contabili parlano di “ristretta cerchia di pensionati “ e dell’esclusione di “tutti gli altri cittadini, ivi compresi gli ex dipendenti dell’Assemblea regionale siciliana”. La Corte dei conti anticipa così come la norma regionale sembra poco conforme al principio d’uguaglianza. Alla fine della lunga ordinanza infatti, i giudici contabili scrivono che un trattamento del genere “non trova attualmente alcun riscontro nei confronti degli altri pensionati italiani, sia del settore pubblico che di quello privato" e che "appare evidente l’irrazionale effetto discriminatorio che s’è venuto a produrre a carico dei pensionati della Regione Siciliana”.
Agli ex dirigenti della Regione, dunque, sarebbe spettato un trattamento senza eguali nel resto d'Italia, una vera e propria discriminazione. Adesso tutti questi dubbi sulla legge siciliana sono sulle scrivanie dei giudici delle leggi che sono a chiamati a decidere se la norma del 2014 è incostituzionale. Se lo fosse, c’è da pensare che sarebbe l’ennesimo buco nei conti regionali. L’ennesima grana per il governo Musumeci.