Un pregiudicato campobellese, il 39enne Massimo Pellicane, è stato condannato dal Tribunale di Marsala a 4 anni e 9 mesi di reclusione per tentato omicidio e detenzione di armi atte ad offendere.
All’imputato, comunque, è stata concessa l’attenuante della provocazione. Ma alla sua vittima, costituitasi parte civile, deve versare un risarcimento danni di 10 mila euro. Pellicane è stato, invece, assolto dall’accusa di tentate lesioni a un bambino.
I fatti contestati sono datati 29 agosto 2017, quando, dal tetto della sua abitazione il pregiudicato avrebbe lanciato un tufo contro l’auto di Giacomo Gallo, mentre questi transitava con a bordo anche il figlio piccolo. Poi, mentre Gallo raccontava l’accaduto ai carabinieri, che in quel momento stavano casualmente passando da quelle parti, lo colpì al capo con un martello da carpentiere. Colpo che per fortuna andò solo parzialmente a segno, perché si staccò la parte in ferro del martello. Altrimenti, Pellicane avrebbe potuto sfondare la testa a Gallo, che nel processo si è costituito parte civile con l’assistenza dell’avvocato Giuseppe Pantaleo. “Massimo Pellicane mi ha rovinato una famiglia – ha dichiarato la vittima in aula - Mentre io ero al lavoro, vendeva la droga a mia moglie, che poi se n’è andata a vivere con lui. Sono stato colpito di lato in testa solo perché un carabiniere mi ha detto: ‘attento Gallo’. Il secondo colpo, invece, l’ho parato con il braccio. Poi, lui è fuggito. Andando a casa di suo padre e tornando, dopo aver fatto il giro dell’isolato, con una spada”. Questa era una “katana”, spada giapponese lunga circa 90 centimetri. E i carabinieri dovettero faticare non poco per bloccare e arrestare Pellicane, per il quale il pm Antonella Trainito aveva invocato la condanna a 10 anni di carcere.
A difendere l’imputato, per quasi l’intero processo, è stato l’avvocato Francesco Moceri, che poi però ha rinunciato al mandato. A succedergli è stato il collega Luca Vincenzo Di Giovanni.