Per “diversa composizione del collegio giudicante” (in pratica, è cambiato un giudice), è stato rinviato al 12 ottobre il processo d’appello a Michele Licata, imprenditore del settore ristorazione-alberghiero della Sicilia occidentale.
Ancora non decolla, dunque, il giudizio di secondo grado relativo alla sentenza che il 2 dicembre 2016, in abbreviato, ha visto Licata condannato dal gup di Marsala Riccardo Alcamo a 4 anni, 5 mesi e 20 giorni di carcere per una maxi-evasione fiscale, nonché per truffa allo Stato e malversazione.
Tra il primo e il secondo grado, quindi, sono già trascorsi ben tre anni e mezzo. Se non è un record, di sicuro ci manca poco.
L’evasione fiscale (Iva e tasse non pagate tra il 2006 e il 2013) è stata stimata da Procura (pm Antonella Trainito) e Guardia di finanza in circa 6/7 milioni di euro, mentre i finanziamenti pubblici per la realizzazione di alberghi e ristoranti “indebitamente” percepiti ammonterebbero a circa quattro milioni di euro. All’imprenditore sono stati sequestrati beni, società e liquidità per quasi 130 milioni di euro. E in particolare, il ristorante “Delfino”, l’albergo “Delfino Beach”, l’agriturismo “La Volpara” e il mega-complesso ristorante-albergo-centro benessere “Baglio Basile”. Ristoranti e alberghi proseguono regolarmente la loro attività sotto amministrazione giudiziaria. Nell’indagine delle Fiamme Gialle sono rimaste coinvolte anche due figlie di Michele Licata, Clara Maria e Valentina, titolari di alcune società del gruppo e imputate in concorso con il padre, che davanti al giudice Alcamo hanno patteggiato la pena. La prima è stata condannata a 1 anno, 4 mesi e 10 giorni di reclusione, la seconda a 1 anno, 1 mese e 10 giorni. Per entrambe pena sospesa. Il collegio di difesa è composto dagli avvocati Carlo Ferracane, Stefano Pellegrino, Salvatore Pino e Gioacchino Sbacchi.