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18/12/2020 08:43:00

L'umiliazione di Conte, Di Maio e dell'Italia per liberare i pescatori di Mazara 

La buona notizia è che i pescatori di Mazara del Vallo, dopo 108 giorni, sono finalmente liberi. La cattiva notizia è che per liberarli l'Italia è stata costretta ad umiliarsi davanti al signore della guerra libico Haftar, pur di inscenare una liberazione che serviva molto al quadro interno (Conte ha avuto la scusa per posticipare l'incontro con Renzi ed offuscare le proposte di Italia Viva per non fare cadere al governo) e ha visto il presidente del Consiglio e il Ministro degli Esteri di una potenza mondiale del G7 umiliarsi davanti al sanguinario maresciallo. Conte è stato costretto a volare di persona  a Bengasi, a concedere la passerella ad Haftar, e ha costretto Di Maio a subire la mortificazione con lui. Con questo rapimento Haftar ha ottenuto un riconoscimento politico e, secondo la versione libica, anche delle "scuse ufficiali", oltre all'impegno che "non avvengano altre violazioni". 

 Era il 1° settembre quando i due pescherecci Antartide e Medinea, con a bordo i diciotto pescatori - otto italiani, sei tunisini, due indonesiani e due senegalesi - sono stato sequestrati da motovedette delle milizie di Haftar a circa 80 miglia dalla costa di Bengasi. L’accusa: avere violato le acque territoriali, pescando all’interno di quella che i libici ritengono un’area di loro pertinenza. Nei giorni seguenti le milizie di Haftar hanno contestato, in modo del tutto infondato, anche il traffico di droga. Trattativa complicata dal fatto che la cattura non era stata effettuata dal governo di Tripoli di al Serraj, riconosciuto dall’Italia e da gran parte della comunità internazionale. I libici hanno anche chiesto la liberazione di quattro scafisti condannati in Italia per una traversata in cui morirono 49 migranti.

I 18 pescatori ieri sono ripartiti verso casa sui due pescherecci, dopo aver risolto un problema all’Antartide (il motore non partiva perché le batterie si erano scaricate). Sono attesi al porto di Mazara del Vallo per domani sera.

Fa notare Repubblica: «Giuseppe Conte è stato costretto a volare, di persona, a Bengasi per farsi restituire i 18 pescatori sequestrati dal 1° settembre dalla milizia di Khalifa Haftar. Era quello che chiedeva il maresciallo. Il premier ha chiesto a Luigi Di Maio di accompagnarlo, perché sapeva che il peso da sopportare sarebbe stato notevole. I tanti mediatori che l’Italia aveva provato ad utilizzare non erano riusciti a portare a casa il risultato; o magari non avevano mai avuto intenzione di farlo. Haftar voleva un riconoscimento politico. E l’ha ottenuto, tanto da far diffondere il suo commento all’incontro con il premier di un governo del G8. Nella notte la versione di Haftar parla di “scuse ufficiali” che il premier avrebbe fatto al maresciallo della Cirenaica per lo sconfinamento dei pescherecci italiani. All’agenzia Nova una fonte di Haftar dice che le «autorità italiane faranno sì che non avvengano altre violazioni del genere». E poi passa a parlare dei 4 calciatori/scafisti libici detenuti in Italia: Haftar gli ha chiesto la liberazione, Conte avrebbe promesso che “se ne occuperà”, anche se il governo in Italia non ha autorità sulla magistratura. Ma ‘si impegnerà a migliorare le loro condizioni di detenzione”».

Scrive La Stampa: «La svolta è maturata negli ultimi giorni, ma le trattative erano entrate nel vivo già da un mese, con un lavoro incrociato di diplomazia e servizi. Risolutivi sono stati gli americani, ma pressioni importanti sono arrivate dagli Emirati Arabi e anche dai russi, mentre molto esiguo è stato stavolta il ruolo degli egiziani – enfatizzato ad arte da esponenti libici di area tripolina ad uso di politica interna – con cui l'Italia ha rarefatto i contatti in seguito agli ultimi sviluppi giudiziari sul caso di Giulio Regeni, e decisamente fantasioso il supposto intervento di Macron su Al Sisi in favore del rilascio».

Scrive Il Foglio: 

"La liberazione dei pescatori a Bengasi è un’operazione brillante sul piano politico interno, quindi vista dall’Italia, ma è un disastro umiliante sul piano internazionale. Partiamo dalla brillantezza. Nel giorno della verifica di governo per il premier Giuseppe Conte, che coinvolge anche il suo controllo sui servizi segreti, lui va in Libia assieme al capo dell’Aise (i servizi segreti che si occupano di quello che succede all’estero), Gianni Caravelli, e si fa restituire gli equipaggi di due pescherecci italiani sequestrati da quasi quattro mesi. E’ il risultato di una trattativa serrata condotta dall’Aise ed è una risposta a chi lo critica: questo tandem fra me e i servizi segreti funziona, perché volete toccarlo? Manca una settimana a Natale e le famiglie di Mazara del Vallo che non sapevano più come ottenere la liberazione dei loro cari se li vedono consegnati indietro. Molto bene. Sul piano internazionale è la prova che l’Italia non ha più credibilità e non ha più capacità di deterrenza nel Mediterraneo, che è la regione che conta di più per noi e in questi anni sta diventando un territorio sempre più teso e ostile. La dimostrazione di debolezza non potrebbe essere più plateale. Khalifa Haftar, il signore della guerra libico che controlla una città delle dimensioni di Palermo e ha ai suoi ordini circa ventimila uomini armati, convoca al suo cospetto due leader di una nazione del G7 come condizione per la liberazione dei pescatori – perché è impensabile che siano stati gli italiani a proporre il viaggio – e i due sono costretti ad accettare".

Il Foglio spiega chiaramente come il rapimento dei pescherecci sia stato un sequestro politico, che era mirato alla scenetta finale di ieri: 

"Nel 2019 Haftar ha aggredito la capitale del paese, Tripoli, con l’intenzione di conquistarla in quarantotto ore, invece l’assedio si è trasformato in una guerra civile da migliaia di morti e lui è stato ricacciato indietro malamente dall’intervento militare della Turchia (...) Il primo settembre il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, fa la consueta doppia visita in Libia come aveva già fatto tre volte nei dieci mesi precedenti. (...)  Ma snobba il capo militare Haftar – ancora intento a meditare sulla sconfitta. Il generale si risente, è un colpo al suo status. Poche ore dopo quando cala il buio quattro libici armati a bordo di due imbarcazioni (non è un modo di dire, erano davvero quattro) si avvicinano a una flottiglia di nove pescherecci italiani impegnati nella pesca dei gamberi al largo della costa della Libia e intimano ai due sulla linea di fuoco delle loro armi di seguirli a Bengasi. I pescherecci avvisano la Marina militare, ma si decide di non intervenire un po’ perché non ci sono le forze adatte a portata utile e un po’ perché si preferisce la via diplomatica. Quella è un’area contesa di mare, da anni i libici accampano pretese irrealistiche e a volte fermano un peschereccio, si tengono i gamberi e lo fanno ripartire dopo qualche ora. Questa volta però Haftar decide di trasformare il sequestro in un caso internazionale. Ordina di imprigionare i pescatori. Fa anche ventilare l’ipotesi di un’accusa per traffico di droga, ma non la ufficializza. Resta in sospeso, è una minaccia di decine di anni di carcere in Libia contro i due equipaggi..."