Ha chiesto di rendere “dichiarazioni spontanee” per contestare le accuse che gli vengono mosse e ha parlato a lungo nel tentativo di convincere i giudici. In videoconferenza dal carcere romano di Rebibbia, dove è recluso in regime di 41 bis, il presunto capo della famiglia mafiosa di Mazara, Dario Messina, ha dichiarato: “Ma quale controllo del territorio? Io ho subito due furti. Uno di gasolio e poi anche l’auto, che mi è stata restituita dalla polizia. A Vito Gondola, inoltre, non l’ho mai conosciuto. Dopo che io sono uscito dal carcere, il 28 febbraio 2015, sono andato a vivere e lavorare a Castelvetrano. Poi, lui è stato arrestato nell’operazione Ermes”.
Dario Messina è uno dei quindici imputati del processo scaturito dall’operazione “Annozero”. Ma sull’impossibilità (o difficoltà) di incontrare Gondola a causa del suo arresto in “Ermes” bisogna evidenziare che questa è scattata all’alba del 3 agosto 2015.
Tra la scarcerazione di Messina e l’arresto di Gondola c’è, dunque, un lasso di tempo di circa cinque mesi. Dario Messina ha, poi, evidenziato che la stessa polizia ha ammesso che la persona intercettata con Vito Bigione non era lui. Affermazione alla quale ha replicato il pm della Dda Francesca Dessì, ricordando che l’errore è stato ammesso dalla polizia già nelle prime fasi del procedimento. Cercando ancora di scrollarsi di dosso le contestazioni dell’accusa, ha detto anche che il coimputato Marco Buffa lo conosce perché è “cugino acquisito” di sua moglie e che Bruno Giacalone, altro coimputato, è un suo amico di vecchia data. In mano all’accusa, però, ci sono le risultanze di lunghe e complesse indagini e soprattutto le intercettazioni.