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20/06/2021 06:00:00

Correndo su un mare color del sangue. Su "Back way"

di Marcello Benfante

Nella collana Cartographic delle edizioni Mesogea, a cura di Elettra Stamboulis (di cui segnaliamo l’importanza nell’ambito di un necessario e provvidenziale rinnovamento dei linguaggi) appare una notevole antologia, frutto di un workshop tenutosi nel gennaio 2020 nell’ambito di un progetto contro le discriminazioni.

In questo laboratorio, dieci giovani artisti, sotto la direzione del graphic journalist Gianluca Costantini, hanno ascoltato le storie dei migranti, il loro periglioso viaggio, i loro problemi di accoglienza, trasformandoli poi in brevi racconti disegnati dove in poche tavole si riassume il travaglio e l’Odissea, il dolore, la paura, la solitudine, lo scandalo in un certo senso inenarrabile delle migrazioni di massa che tuttora si svolgono tragicamente nel mare Mediterraneo.

Il risultato di questo lavoro di ascolto e metabolizzazione narrativa è un interessante volume collettaneo che ha per titolo “Back way” (Mesogea, pagine 176, euro 18) e che potremmo impropriamente e sommariamente definire “a fumetti”.

“Sono fumetti (mi piace ancora usare questa parola sempre più desueta)”, scrive infatti Igiaba Scego nella prefazione, dopo aver fatto i nomi esemplari di Crumb e Miyazaki come possibili riferimenti di una molteplicità stilistica della silloge, che oscilla tra “il primitivo e il postmoderno”, con qualche deviazione più tradizionale: “un certo gusto retrò nel condurre la matita (che sia elettronica o no) sul foglio da disegno”.

In realtà, di retrò c’è pochissimo, e nell’insieme emerge piuttosto un senso di frescura e di novità, una forza comunicativa, informativa ed espressiva che è quella, per usare una formula, del graphic journalism.

Approccio che è ancora (e in questo ha ragione Igiaba Scego) quello del caro “desueto” fumetto, col suo insuperabile e intramontabile sincretismo sintetico, ma reso attuale da un rapporto tra produzione e fruizione ormai libero da ogni schematismo di genere, da ogni formalismo pregiudiziale.

“Back way”, che è anche il titolo del racconto conclusivo, è un’espressione “con cui i gambiani chiamano la rotta migratoria che devono percorrere per arrivare in Europa”, spiega una nota redazionale. Rotta insidiosissima e costosa che dal Sahara (il mare di sabbia, con le sue dune ondose) giunge in Italia. Quando vi giunge, ovviamente. Quando non viene spezzata, come il filo delle Parche, da una morte in itinere.

L’uscita sul retro è dunque tutt’altro che un’uscita di sicurezza. È piuttosto l’unica e l’ultima fuga possibile da una realtà insostenibile, che spesso però comunica con realtà lontane e diverse, ma altrettanto insostenibili e inconcepibili.

La copertina dell’artista-attivista Gianluca Costantini mostra un ragazzo che, accompagnato da un volo d’uccelli, corre (miracolosamente?) sulle acque e sembra scavalcare con un balzo una distesa marina infuocata da un sole rosso. Un auspicio, quindi, di superamento delle distanza e delle barriere.

Ma il sottotitolo, “Viaggi di sola andata con ritorno”, sembra alludere amaramente a una dinamica di rimbalzo, come a suggerire uno sbarramento europeo che spesso rimanda spietatamente indietro l’onda migratoria.

In “Mamasinta” (nome del mitico progenitore di tutti i Masai) Giuseppe Lenzone, illustratore e fumettista bolognese, realizza una preziosa narrazione in forma di archetipo rituale: una “danza misteriosa” che si apre al sogno di un’ignota speranza.

“Radici” di Andrea Cammareri, siciliano trapiantato a Bologna, ricorre invece a stilemi di un simbolismo naïf, di acceso cromatismo folclorico, con accenni poetici e visionari, di una forza struggente.

Più incisivo e tormentato il piano espressivo di Majid Bita, artista di origine iraniana, che lambisce il surrealismo in certe soluzioni oniriche e tormentate.

Bbraio, artista meranese, dà vita a un racconto di atmosfere più sfumate e inquietanti, in cui predominano i grigi e un senso gelido di solitudine.

Più classiche e misurate, ma ricche di suggestioni controverse, talora brutali, sono la grafia e il tono di “Juju” di Chiara Abbastanotti, insegnante presso la Scuola internazionale di Comics di Brescia.

Più riconducibile ai moduli più consueti del fumetto è “Paura dal mare” di Letizia Depedri, trentina, che tuttavia si avvale efficacemente di forme fantastiche e immaginifiche.

“Ok” di Helpi deborda sul fronte satirico-caricaturale, con esiti apparentemente comici che però assumono subito una valenza drammatica e quasi orrifica, sempre con un forte ricorso a una chiave allegorica.

Limpido, rarefatto, lucido è il racconto della milanese Erica Andreula (“Ciò che resta”), con forme e ritmi tipici del comic che esprimono bene l’afasia e la disillusione del protagonista.

“La lunga notte” di Gabriele Melegari, pittore e fumettista nato a Carpi, sfrutta l’impatto dei neri e di tonalità notturne per esprimere l’angoscia e l’incubo di un viaggio e di una speranza impossibili, di lunare solitudine.

Infine, un segno raffinato, di iperrealistico impianto, ma pur sempre integrato da elementi simbolici, è quello di Chiara Cesalli (“Back way”). Un fil-rouge unisce le vite tra loro, e queste alla morte. È il filo, tenace ma facile a rompersi, del racconto e della speranza.

Sono dieci autori e dieci storie che risolutamente danno “voce ai senza voce, agli invisibili”, scrive Massimo Vita nell’introduzione, provando a fare da ponte culturale, da trait d’union interetnico, in questo drammatico percorso in cui troppo spesso si verifica il naufragio delle speranze dei migranti e delle illusioni liberal-democratiche dell’Occidente.