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10/08/2021 06:00:00

Tunisia, una democrazia da ritrovare e tutelare/1

La democrazia tunisina è in crisi: a seguito delle decisioni prese dal capo dello stato Kais Saied, senza consultazioni alcune né motivazioni allegate, c’è chi parla di deriva autoritaria del Paese

“Ho deciso di assumere il potere esecutivo con l’aiuto di un capo di governo che nominerò io stesso. Secondo la Costituzione, ho adottato le decisioni richieste dalla situazione per salvare Tunisi, lo Stato e il popolo tunisino. Chi parla di colpo di Stato dovrebbe leggere la Costituzione o tornare al primo anno di scuola elementare, io sono stato paziente e ho sofferto con il popolo tunisino”. Durante un intervento presso la TV di Stato, il presidente Kais Saied ha cercato di spiegare le decisioni prese nei giorni precedenti. “Abbiamo preso questa decisione fino a quando non tornerà la calma e non metteremo lo Stato in sicurezza”, ha, inoltre, continuato, “chiunque pensa di fare ricorso alle armi e chiunque sparerà anche un solo colpo, sappia che le forze armate risponderanno sparando”.

Il 25 luglio, dunque, il capo dello Stato, appellandosi all’articolo 80 della Costituzione tunisina, ha rimosso il primo ministro, Hichem Mechichi, sospeso le attività del Parlamento per 30 giorni e privato i deputati dell’immunità parlamentare. Il medesimo articolo, però, prevede anche che il presidente tenga conto del fatto che una Corte costituzionale, garante dei diritti dei cittadini, ancora non esiste dal momento che nessun Parlamento è riuscito mai a nominarla. L’annuncio è arrivato per mezzo di un video condiviso sulla pagina social ufficiale della presidenza tunisina alla fine di una riunione di emergenza presieduta dallo stesso Saied e aperta ai responsabili della sicurezza.

I mezzi militari hanno circondato la sede del Parlamento al Bardo (dove molte persone si sono riunite urlando slogan di critica al governo e manifestando un’insoddisfazione politica generale) e quella della televisione nazionale, poche ore prima che le forze dell’ordine chiudessero la sede locale della TV araba con base in Qatar, Al Jazeera, storicamente vicina alla Fratellanza Musulmana, legata al partito islamista Ennahda, fermo oppositore di Saied. Il tentativo sembra essere quello di silenziare le voci critiche, come avviene in ogni regime autoritario. Secondo le dichiarazioni di Lotfi Hajji, il direttore della sede di Tunisi, i giornalisti e gli impiegati sono stati avvisati in un tempo tale da poter abbandonare il posto di lavoro.


 

Secondo alcune fonti, le forze dell’ordine, tra l’altro, hanno usato gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti che lanciavano oggetti. Molti gli arresti eseguiti. Saied, inoltre, ha accentrato nelle sue mani il potere esecutivo, con l’aiuto di un capo di governo (che designerà solo successivamente), e assumerà anche la carica di Procuratore generale. A questo proposito, gli osservatori sono preoccupati di eventuali arresti a danno di deputati poiché privati dell’immunità. Tra i possibili nomi, Taoufik Charfeddine, suo fedelissimo ed ex ministro degli Interni, Nizar Yaiche, ex titolare delle Finanze, ma anche Marouane Abassi, governatore della Banca centrale, e Imed Hazgui, un tempo a capo della Difesa.

Molte, inoltre, le rimozioni tra ministri (risale al 26 luglio il licenziamento di quelli della Difesa, Brahim Berteji, e della Giustizia, Hasna Ben Slimane), alti funzionari governativi, del procuratore generale militare, Taoufik Ayouni, del segretario generale del governo, Walid Dhahbi e, ancora, del presidente del Comitato generale dei martiri e dei feriti della rivoluzione e degli atti terroristici, Abderrazek Kilani. Ma anche del capo della stazione televisiva nazionale, Mohamed al-Dahach.

Il 29 luglio ha nominato il nuovo ministro dell’Interno, Ridha Garsalaoui, ex consigliere per la sicurezza nazionale ed ex funzionario di alto rango delle forze di polizia. Nei giorni successivi, inoltre, è passato all’arresto di tre parlamentari: Yasine Ayari, indipendente, Mohamed Affes e Maher Zid, appartenenti, invece, al partito islamista al-Karama. La causa sta in una loro critica passata nei confronti dell’operato di Saied. Il giudice Bechir Akremi, d’altra parte, è stato sottoposto agli arresti domiciliari per 40 giorni in una campagna di contrasto alla corruzione. Il 3 agosto, Anis Oueslati è stato destituito dal suo incarico di governatore di Sfax. Saied ha, poi, posto fine alla missione dell’ambasciatore straordinario della Tunisia a Washington, Nejmeddine Lakhal, senza motivazioni né designazioni del suo ipotetico sostituto. Secondo un sito di notizie tunisine, però, la motivazione sta nella mancata difesa di quest’ultimo della causa del suo Paese di fronte alle dichiarazioni dei funzionari americani. Nei confronti del capo del Parlamento e leader di Ennahda, Rached Ghannouchi, e di 64 deputati che hanno cause pendenti con la giustizia, è stato imposto il divieto di viaggiare all’estero. Il coprifuoco, invece, è stato deciso dalle 19 alle 6 e durerà fino al 27 agosto.

“Non siamo stati consultati, respingiamo le decisioni annunciate da Kais Saied e faremo appello alle organizzazioni nazionali e a quelle della società civile per contrastarle”, ha dichiarato il leader di Ennahda. “Riteniamo che il Parlamento non sia stato sciolto e rimarrà in seduta permanente. Il capo dello Stato ha applicato erroneamente le disposizioni dell’articolo 80. Ciò che il capo dello Stato ha appena annunciato non può essere qualificato come altro che un colpo di Stato. È un colpo di Stato contro la Costituzione e le istituzioni statali”, ha continuato, smentendo quanto affermato in precedenza da Saied circa i suoi avvertimenti fatti sia al premier che al presidente del Parlamento, come vuole l’articolo 80 della Costituzione tunisina, tanto citata ma, di fatto, così poco applicata. La regola, infatti, impone la possibilità di fermare i lavori del Parlamento ma non la sua dissoluzione, con precedente consultazione del premier, del presidente dell’Assemblea e della Corte costituzionale. Anche a causa delle mancate ma doverose consultazioni, Ghannouchi chiede alla popolazione di ribellarsi a Saied e al colpo di Stato “contro la rivoluzione e la Costituzione”, e, a dieci anni dalla Rivoluzione dei Gelsomini del 2011, il movimento islamico ha fatto appello ai suoi sostenitori per la protezione della rivoluzione e della volontà del popolo.

Secondo l’ex capo del Parlamento, si tratta di un tentativo di monopolizzazione del potere dal momento che questo golpe non ripristinerà i diritti sociali del popolo tunisino.

Le cause della crisi tunisina sono profonde e con radici remote. La politica del Paese, infatti, è congelata da mesi, a causa dei disordini da sempre presenti al suo interno ma aggravati dalla crisi sociale ed economica generata dalla pandemia. Il 16 gennaio, dunque, il premier Mechichi aveva annunciato un rimpasto di governo. Saied, in quell’occasione, ha rifiutato di tenere la cerimonia per l’insediamento dei nuovi ministri. In seguito, circoleranno voci circa la sua volontà di rovesciamento del governo e della presa di controllo delle Forze armate. Secondo un documento etichettato come “assolutamente top secret”, datato 13 maggio e diffuso dal portale Middle East, il piano di Saied prevedeva la convocazione urgente del Consiglio di Sicurezza e la proclamazione della “dittatura costituzionale” che avrebbe “concentrato tutti i poteri nelle mani del presidente”.

I disordini, dunque, iniziano all’inizio di quest’anno. Lo scontento popolare è ingente, le difficoltà economiche tante, le proteste frequenti e, forse, mai arrestate dal 2010, quando Mohamed Bouazizi, venditore ambulante, si dà fuoco per protesta a seguito del sequestro, da parte della polizia locale, del suo carretto con cui vendeva frutta e verdura, senza licenza, e che gli permetteva di vivere. Ha avvio la Primavera araba, con rivolte, cambiamenti e proteste che ricordano l’urgenza di diritti economici, politici, civili e sociali. Ad oggi, la popolazione è esasperata: solo il 7% della stessa è vaccinato. Le strutture sanitarie sono allo stremo: i contagi aumentano e il 90% dei posti nei reparti in terapia intensiva sono già occupati. Saied, dunque, ha affidato la campagna vaccinale alle Forze armate. Le proteste che si sono scatenate in tutto il Paese sono contro i fallimenti del governo, il sistema politico generale e la cattiva gestione della pandemia. Guardando alla storia di questo Paese, la Tunisia è l’unico Paese ad aver mantenuto la democrazia, oggi in crisi. Le cause di quest’ultima sono da ricercare nell’instabilità politica endemica e nella sua fragilità successive alla Rivoluzione dei Gelsomini.

Continua...