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22/02/2022 06:00:00

Mafia. Giambalvo assolto o condannato? Facciamo chiarezza

 Giambalvo è stato assolto o è stato condannato? Se lo sono chiesti in tanti in questi giorni quando nello stesso momento, oltre alla notizia della condanna a 4 anni e 4mila euro di multa in primo grado nel processo Anno zero, è stata diffusa anche quella dell’assoluzione in Cassazione relativa al processo Eden 2. Due processi diversi, per reati diversi.

Lillo Giambalvo, è il discusso ex consigliere comunale di Castelvetrano conosciuto per quelle intercettazioni in cui diceva che si sarebbe fatto 30 anni di galera per nascondere Messina Denaro.

Ma anche che, se fosse stato al posto del boss, non avrebbe esitato ad uccidere uno dei figli di Lorenzo Cimarosa, (cugino acquisito del latitante, poi deceduto nel 2017) che aveva cominciato a dare il suo contributo contro la cosca.

 

LA SUA ASSOLUZIONE, come si diceva, riguarda la sentenza del processo Eden 2.

Non è un grosso colpo di scena, perché segue quella di primo e di secondo grado.

In questo procedimento, Giambalvo era stato arrestato nel 2014 per associazione mafiosa. La DDA aveva chiesto 10 anni di reclusione, ma l’ex consigliere era stato assolto in primo grado ed era ritornato in consiglio comunale accendendo così quella miccia che avrebbe poi portato allo scioglimento del comune di Castelvetrano.

La Procura aveva quindi fatto ricorso in Appello chiedendo 8 anni e, dopo la sua ulteriore assoluzione (in cui, tra l’altro, sarebbero state considerate inutilizzabili le propalazioni di Cimarosa) era ricorsa in Cassazione che, dichiarando inammissibile il ricorso, lo ha assolto definitivamente.

Nello specifico, l’accusa di Giambalvo riguardava principalmente la sua partecipazione al pestaggio a sangue di Massimiliano Angileri, un tizio che avrebbe avuto l’infelice idea di rubare a casa dei genitori di Giuseppe (Rocky) Fontana, notoriamente vicino alla famiglia dei Messina denaro. In quei gioielli, secondo Giambalvo, c’erano anche quelli della madre di Matteo Messina Denaro.

 

La Cassazione però non cancella l’intercettazione ambientale ascoltata dagli investigatori, in cui lo stesso Giambalvo commenta così quel pestaggio:

 

L’hanno lasciato morto, una costola sana non gli è rimasta, le gambe rotte in tre parti e non sappiamo se rimane sulla sedia a rotelle, la braccia rotte, spalle cadute tutt’e due, testa spaccata, chissà in quante parti, morto l’hanno lasciato in una pozzanghera di sangue.” […] “E’ passato qualche minchia… se stava un’ora lì moriva, è passato qualche minchia e ha chiamato i Carabinieri dicendo che c’era questo qui a terra, chi è stato non si sa, però in paese c’è stato un gran fermento.” […] “Minchia un marruggio di zappuni di sopra si ci rumpiu (un manico di zappa addosso si ci è rotto, ndr)… noialtri là, quando lo abbiamo portato là già… già distrutto era…[…] “Eee in quell’inferno ho buttato i suoi vestiti pieni di sangue e ho buttato tutte cose… e ho buttato tutte cose… minchia ho buttato un maglione nuovo, nuovo picciotti… mi… che peccato.”

 

Poi ci sono le altre intercettazioni di cui abbiamo parlato all’inizio che, nelle eccessive semplificazioni fatte in questi anni, sono state a torto percepite come il nocciolo principale delle accuse mosse al Giambalvo. Certo, non lo erano dal punto di vista giudiziario, ma sarebbe bene tenerle sempre a mente dal punto di vista politico.

 

LA SUA CONDANNA A 4 ANNI E 4MILA EURO DI MULTA riguarda invece il primo grado del processo Anno Zero, relativo all’operazione del 2018.

 

Secondo la sentenza, Giambalvo, fedele emissario (e nipote) del boss campobellesse Vincenzo La Cascia, era incaricato di intrattenere i rapporti con la società che si era aggiudicata i lavori al comune di Castelvetrano per il completamento del recupero urbano e culturale del sistema delle piazze con creazione di un Urban Center ed impianto di illuminazione a basso inquinamento luminoso dotato di dispositivi di auto produzione energetica da fonti rinnovabili. Insieme al La Cascia volevano costringere il legale della società alla cosiddetta “messa a posto”,  evocando la propria appartenenza a Cosa nostra. Il legale però aveva contrapposto il suo no e la “messa a posto” non era avvenuta.

 

Insomma, le sentenze attestano una verità giudiziaria che potrebbe anche essere ribaltata nei diversi gradi di giudizio. Le intercettazioni invece rimangono e dovrebbero consentire alla società civile di non scivolare nella pericolosa trappola del “Se è stato assolto, non ha mai avuto nulla a che fare…”.

 

Egidio Morici