Purezza di sentimenti e chiarezza di pensieri animano i racconti, per lo più al femminile, di Angela Giannitrapani.
Fra le pagine di “Un’altra metà di mondo” la spinta creativa procede con levità d’intenti, limpida, fiduciosa dei propri mezzi espressivi, senza azzardi…come un equivalente della migliore pittura impressionista.
L’invenzione di fatti e personaggi calati nel nostro tempo mette, poi, in luce un’altra convinzione dell’autrice: difficilmente è data una bella letteratura priva di una buona letteratura. Fine a se stessa sarebbe la prima se non fosse avvalorata da una ricognizione in diretta su come viviamo.
Oltre ogni velleitario e spesso sterile sperimentalismo, in sostanza, il “cuore antico” del bene letterario batte nel diverso e irripetibile modo di essere dell’umano agire. La molla del sapere scrivere risiede nel dato di fatto, nelle situazioni concrete, nelle emergenze quotidiane frutto di disparità economiche, fattori che negano dignità e che trovano accoglienza in pagine di raffinata ed intensa liricità.
Tale lineare compostezza di stesura non è forse la stessa cui anelava rilevare, negli scrittori, Cesare Garboli nella sua laica confessione “Pianura proibita”?
E là dove ci si imbatte nella figura controversa di un’insegnante, che si accusa di non aver capito il disagio esistenziale di una sua allieva, la semplicità di costrutto non arretra davanti la complessità delle oscure dinamiche interiori.
Apprezzando l’ampio ventaglio di temi e problemi focalizzati, e non venendo meno la memoria di precedenti letture, pare tuttavia che, alla sua dedizione verso la letteratura, manchi qualcosa. Cosa? Il romanzo.
Il lettore considera che forse è in corso d’opera, oppure può essere in fase di puntigliose limature; certo è che non può rinunciare al racconto dei racconti. Il lettore attende paziente, appunto, il romanzo.
Peppe Sciabica