Dopo la cattura di Matteo Messina Denaro, la stagione della vecchia mafia, di cosa nostra stragista, è finita. Ci si interroga su che cosa succederà alla mafia, che tipo di criminalità organizzata si affaccia. Se quel contesto di indifferenza che ha permesso la latitanza del boss di Castelvetrano muterà, e ci sarà una presa di coscienza. E cosa cambierà in provincia di Trapani e in Sicilia, nella politica, nelle pubbliche amministrazioni.
“Adesso non ci sono più alibi. Adesso lo Stato deve fare lo Stato, in ogni suo grado. Deve dare servizi, ospedali, scuole, deve amministrare e occuparsi della cosa pubblica, e bene”. A parlare a Tp24 è Roberto Piscitello, magistrato, sostituto procuratore a Marsala, che per anni ha dato la caccia al latitante e diverse volte ne ha sfiorato la cattura. E’ arrivato ad un pelo dall’arresto del boss, in questi 30 anni di latitanza, ma c’era sempre qualcuno che arrivava prima. Che, è un’ipotesi per nulla azzardata, avvisava il boss e ne permetteva la fuga. Come quando Messina Denaro è scappato dal covo di Bagheria, gli investigatori hanno trovato le sue cose, la Nintendo, le sigarette, gli abiti firmati. “Le donne che frequentava, la sua debolezza, ci hanno portato spesso più vicino a lui. Il suo arresto? Non credo nelle trattative, e non parlo di cose che non so. E’ stata una brillante azione investigativa che ha approfittato del momento di debolezza, del momento in cui Messina Denaro è uscito allo scoperto per farsi curare. Ma non mi sorprende che facesse la vita che stanno raccondando in queste settimane".
Piscitello, al di là, degli aspetti criminali, è un grande osservatore della società. E già tempo fa ha notato un atteggiamento diverso nei siciliani rispetto alla voglia di riscatto avvertita dopo le stragi del 1992.
In questo modo un contesto già silenzioso, indifferente, come quello del Belice e della provincia di Trapani, ha potuto permettere al boss di stare 30 anni latitante. “Messina Denaro ha fatto la vita che ha sempre fatto, non mi aspettavo diversamente. Anche per il contesto in cui ci troviamo. Questo è un territorio in cui se sparano qua fuori la gente abbassa le tapparelle, per non creare neanche la condizione di sapere”. Figuriamoci se gira voce che il boss è latitante a Campobello. E’ una questione culturale, principalmente, e sarà difficile da cambiare.
Soprattutto se lo Stato e le pubbliche amministrazioni continuano con le inefficienze, se i piccoli diritti vengono percepiti come favori. In questi solchi si nasconde un’area grigia, una serie di intermediari, che fanno valere la potenza delle relazioni. ”Intermediari tra mafiosi e persone oneste che, nel tempo, sono stati più vicini alla mafia che alla società civile” aggiunge il magistrato.
“Spero che la cattura di Messina Denaro sia la fine di un alibi che in questi anni abbiamo coltivato. L’alibi di non potere fare impresa, l’alibi di non potere essere una società civile, l’alibi di sentirsi oppressi. Ora questo alibi non c’è più, cerchiamo di fare”. Al tempo stesso lo Stato deve riconquistare la fiducia dei cittadini. “Per anni la lotta alla mafia è stata delegata solo alle forze dell’ordine e alla magistratura. Questo deve essere solo l’ultimo step - aggiunge Piscitello - lo Stato deve garantire servizi, ospedali che funzionano, aeroporti, treni, trasporti efficienti". Così si evita il ricorso all'intermediazione, a piccoli e grandi favori.
Quella di Piscitello è un’analisi lucida, e per nulla banale, rispetto ai tanti distratti osservatori che in queste settimane si sono accalcati commentando i fatti di mafia e a raccontare questa parte di Sicilia. E seppur ricorre sempre quel celebre passaggio de Il Gattopardo, sui siciliani che non vogliono cambiare, sulla “vanità più forte della miseria”, adesso è però il momento di voltare pagina. Di spazzare le scuse. “Questa terra deve svegliarsi, deve dire adesso “noi ci impadroniremo del nostro destino””.