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03/03/2024 06:00:00

Chi era Gaetano Riina, il fratello del capo dei capi di Cosa nostra 

Si è spento lo scorso 22 febbraio a Mazara del Vallo, all'età di 90 anni, Gaetano Riina, fratello minore del boss Totò Riina. Il questore di Trapani ha vietato i funerali pubblici.

La sua sepoltura è avvenuta in silenzio, senza esequie, nel cimitero di Mazara del Vallo. Nonostante il divieto imposto dal questore di celebrare funerali pubblici per motivi di ordine pubblico, don Misuraca ha celebrato comunque una messa nella chiesa del cimitero, con la presenza della moglie, della figlia Concetta, di familiari e amici, per onorare il defunto. Quanto avvenuto ha provocato la reazione del vescovo di Mazara, Angelo Giurdanella, che ha ripreso come inopportuno, quanto fatto dal prete e annunciato provvedimenti.

Dall'infanzia difficile all'ascesa mafiosa - Conosciuto come "Zù Tano", Gaetano Riina è nato a Corleone nel 1933. La sua figura è stata associata a quella del fratello Totò, di cui era considerato un fedelissimo e con un ruolo attivo all'interno di Cosa nostra trapanese. La sua vita inizia in salita. Nel 1943, a soli 10 anni, perde il padre Giovanni e il fratello minore Francesco a causa dell'esplosione di una bomba che lo lascia ferito. Avvia un'attività di agricoltore, ma il suo destino lo porta ben presto verso altri lidi. Diventa un punto di riferimento per diversi mafiosi che si rivolgono a lui per consigli e favori, tanto che nel 1982 viene nominato consigliere della famiglia di Corleone. Trasferitosi a Mazara del Vallo fin dagli anni '70, stringe una solida collaborazione con Mariano Agate, boss locale e fedele alleato del fratello Totò. Il suo potere e la sua influenza crescono, ma la sua ascesa è macchiata dal sangue.

Il giudice Alberto Giacomelli - Nel 1985, il giudice Alberto Giacomelli, che aveva disposto la confisca dei beni di Gaetano Riina a Mazara del Vallo, viene barbaramente ucciso in un agguato. Un tragico evento che non ha mai trovato una completa verità processuale. La storia di Gaetano Riina si intreccia con uno degli omicidi di mafia più silenziosi mai avvenuti in Sicilia: l'uccisione del giudice Alberto Giacomelli a Trapani, il 12 settembre 1988. Giacomelli, già in pensione, fu ucciso a Locogrande, in via Falconara. Il movente emerse anni dopo dalle confessioni del pentito Vincenzo Sinacori, stretto collaboratore del gruppo di fuoco di Matteo Messina Denaro e legato alla famiglia Riina. Sinacori rivelò che i mafiosi cercavano Giacomelli per esaudire una richiesta della famiglia Riina. Il giudice aveva commesso un grave affronto agli interessi della famiglia quando nel gennaio del 1985, mentre presiedeva la sezione di misure di prevenzione del Tribunale di Trapani, firmò un provvedimento di confisca di un immobile di proprietà di Gaetano Riina, fratello del capo dei capi, a Mazara del Vallo. L'uccisione di Giacomelli era un segnale forte, quasi una vendetta, per coloro che osavano ostacolare gli interessi dei boss. Quando nel 1987 la confisca dei beni di Gaetano Riina divenne definitiva, fu deciso il destino del giudice, come monito a chiunque osasse interferire con il potere e i patrimoni della mafia.

Riina percepiva fondi europei per l'agricoltura senza averne diritto - Gaetano Riina, già condannato per mafia si è visto confermare in appello una condanna a restituire all’Agea, l’agenzia che per i finanziamenti agli agricoltori, contributi pubblici per 25mila euro. I giudici contabili conclusero che Gaetano Riina aveva intascato fondi comunitari senza averne diritto. Secondo la legge i contributi di Bruxelles non possono essere erogati né a chi è sottoposto a misure di prevenzione quali la sorveglianza speciale di polizia (ed è questo il caso), né a chi abbia subito una condanna in appello per associazione mafiosa, senza aver ottenuto una successiva riabilitazione. Per ben sette anni dal 1997 al 2004, hanno argomentato i magistrati nella loro sentenza, il fratello di Totò Riina aveva presentato regolare domanda, «omettendo peraltro di produrre la certificazione antimafia», e l’agenzia che dipende dal ministero delle Politiche agricole aveva pagato. Senza evidentemente battere ciglio.

L'arresto nel 2011 - Riina, fu arrestato dai carabinieri del Gruppo di Monreale e del Ros nella sua casa di Mazara del Vallo nel Luglio del 2011. Dopo tre anni di indagini, pedinamenti e intercettazioni, gli investigatori ritenevano che i reggenti del riorganizzato clan di Corleone fossero due pronipoti di Totò. Riina investiva più il ruolo di rispettato consigliere della cosca, un padrino vecchio stampo, sempre pronto a dispensare dritte alla nuove leve, anche per organizzare il racket del pizzo, specie nel settore pubblico. 

La confisca dei beni - Nel 2018 la confisca di beni per un totale di 600mila euro per Gaetano Riina. I Carabinieri hanno posto in sequestro un appartamento di 10 vani sito in Mazara del Vallo nonché 7 rapporti bancari ed assicurativi riconducibili al nucleo familiare. L’intervento, che interesserà il comune di Mazara del Vallo, prevede il sequestro di 1 abitazione di 10 vani sita a Mazara del Vallo e 7 rapporti bancari ed assicurativi riconducibili al nucleo familiare, per un valore complessivo, per l’appunto, di 600 mila euro.

Una condanna a 8 anni per associazione mafiosa - "Zù Tano" ha scontato una prima condanna a otto anni per mafia.Secondo l'accusa Gaetano Riina aveva sostituito il fratello, detenuto dal '93, alla guida del mandamento di Corleone e sarebbe stato anche il punto di riferimento per i mafiosi di Mazara del Vallo, città in cui Gaetano Riina viveva.

Una seconda condanna a 12 anni per il "monopolio" nel settore ortofrutta -Un'altra condanna, emessa dal tribunale di Napoli, che lo ha giudicato colpevole di aver monopolizzato la distribuzione di prodotti ortofrutticoli nel Sud Italia grazie a un'alleanza con alcuni esponenti del clan dei Casalesi e assieme ai fratelli Sfraga, i re del mercato ortofrutticolo a Marsala, e con i boss della camorra in Campania. E hanno ancora una volta scoperto l’accordo tra famiglie di Cosa nostra e camorra per la spartizione di uno dei più importanti mercati in Italia, quello appunto della frutta e della verdura, insieme al non meno interessante settore del trasporto su gomma. Gli Sfraga sono stati, fin quando erano in libertà, tra i principali produttori italiani di meloni. Nell’ordinanza di custodia cautelare a loro carico il Gip li definisce «imprenditori legati a Cosa Nostra ed in particolare legittimati ad esercitare la supremazia nel loro settore commerciale sulla base di un rapporto privilegiato e personale con la famiglia Riina e con la più stretta cerchia di imprenditori e uomini d'onore che ruotano intorno al noto latitante Matteo Messina Denaro».

L'operazione sull'Ortofrutta - Gaetano Riina, Antonio e Massimo Sfraga sono stati tre dei nove destinatari di ordinanze di custodia cautelare notificate altrettante persone ritenute appartenenti a diverse organizzazioni di tipo mafioso operanti in Campania e Sicilia. Tra loro c'è anche Nicola Schiavone, figlio di «Sandokan»: risponde di illecita concorrenza per avere imposto la società «La Paganese», controllata dalla sua famiglia, «escludendo tutte le ditte operanti nel settore del trasporto su gomma da e per i mercati ortofrutticoli della Sicilia, della Calabria, della Campania e da e per il mercato di Fondi». Dall’accordo Cosa nostra e camorra traevano un duplice vantaggio. I casalesi avevano in pratica la gestione in monopolio dei trasporti tramite «La Paganese», che controllava tutti i trasporti dei prodotti ortofrutticoli relativamente ai mercati di Palermo, Trapani, Catania, Gela e Fondi. Per i siciliani invece il vantaggio era libero accesso di loro prodotti nei mercati della Campania e del Lazio con prevalenza rispetto agli altri operatori del medesimo settore.