Nessuno pensa a quei poveri turisti. Li vedo già di ritorno, in fila al gate al Falcone-Borsellino, destinazione “continente”: le facce nere di rabbia, e forse anche di sole. Nessuno pensa a quei poveri turisti costretti a risparmiare sull’acqua. La crisi idrica in Sicilia si aggrava, la Regione chiede lo stato d’emergenza e si appella al buonsenso dei cittadini con un vademecum per un uso responsabile dell’acqua. Ai turisti, però, non ci pensa nessuno.
Così, qualche giorno fa, Federalberghi Sicilia è intervenuta. «Non possiamo rischiare», scrive in un comunicato, «di avvicinarci all'estate e chiedere ai turisti di razionare l'acqua, sarebbe una follia». Perciò il governo deve intervenire. «La Sicilia è meta turistica mondiale, prima il problema viene risolto meglio è».
Ma facciamo un passo indietro. La Sicilia, dal punto di vista del consumo idrico, è – paradossalmente – una regione virtuosa. Per la precisione, siamo la quinta regione più virtuosa di Italia: qui vengono erogati in media 181 litri di acqua pro capite al giorno, a fronte di una media nazionale di 215 litri pro capite al giorno. Questo dato, però, fa riferimento al consumo domestico, cioè all’uso dell’acqua nelle nostre case. In altre parole, è un dato che non tiene conto del consumo idrico agricolo, industriale e civile non domestico.
È importante saperlo? Sì. Perché il consumo dell’acqua negli alberghi rientra in quest’ultima categoria (civile non domestico) e, a un’analisi più approfondita, viene fuori uno scenario ben diverso. Nel 2020 un’indagine di Isprambiente (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) ha monitorato il consumo idrico di diverse strutture alberghiere del sud Italia. Sono passati quattro anni, ma sono comunque i dati più recenti che abbiamo.
Secondo l’indagine alcuni alberghi arrivano a consumare circa 900 litri di acqua per ospite che pernotta. Altri si fermano intorno ai 400 litri per cliente, ma tutti superano quello che Isprambiente definisce il “benchmark di eccellenza” – cioè un livello ottimale che si aggira intorno ai 140 litri per cliente, e che viene rispettato (sempre secondo l’indagine) dalla maggioranza degli alberghi nel nord Italia.
In buona sostanza, gli alberghi hanno un impatto idrico significativo. Anzi: tutto il turismo ha un impatto idrico (ma anche ambientale, sociale, etc.) forte, e raramente positivo. E sì, è vero, forse non possiamo chiedere ai turisti di razionare l’acqua; ma possiamo immaginare un turismo diverso, un turismo sostenibile, che stia attento anche al consumo dell’acqua – nel rispetto delle risorse che l’isola ha a disposizione.
Del resto non è un’utopia. Tra i trend del settore turistico del 2024 troviamo proprio la sostenibilità ambientale, che oggi viene ricercata anche dalle strutture di lusso, inseguendo una tendenza definita eco-luxury. Nel bel mezzo di una crisi climatica, che al momento è soprattutto crisi idrica, un turismo sostenibile è possibile, e anzi forse – a questo punto – persino inevitabile. Senza che sia necessario, tra le altre cose, scomodare esempi discutibili come quello di Dubai, tirato fuori proprio dal presidente di Federalberghi Sicilia.
Perché se è vero che «a Dubai, nel deserto, l’acqua non manca mai», va anche detto che il processo di desalinizzazione che funziona negli Emirati Arabi Uniti comporta consumi energetici enormi, il che – tradotto in termini pratici – significa: un sacco di soldi, nell’immediato; un sacco di danni all’ambiente, alla lunga. Vogliamo davvero considerarla come una soluzione possibile?
Daria Costanzo