Per fortuna, sul far della sera, si è alzato un maestrale, robusto. Ha fatto sventolare le bandiere, qualche cappellino è volato, ma, soprattutto, ha diminuito l’afa. Il presidio può continuare. Da due giorni decine e decine di agricoltori sono accampati sotto Palazzo d’Orleans, in Piazza Indipendenza, a Palermo, sede della Presidenza della Regione Siciliana. Sono stanchi dei tavoli tecnici, degli avvisi, degli annunci, delle conferenze di servizio, delle polemiche. Vogliono risposte concrete per affrontare la mancanza d’acqua che sta mettendo in ginocchio le aziende agricole in tutta l’Isola.
Sono decisi a rimanere qui giorno e notte, fin quando sarà necessario, dicono. Già a Maggio l’avevano fatto, ed era terminato tutto con un incontro con Schifani e alcune solenni promesse di intervento. Non mantenute. Da qui la decisione di ritornare a occupare la piazza. «L’unica azione concreta messa in campo è stato il buono per comprare il foraggio che non abbiamo più – raccontano –. Gli animali non solo soffrono la sete, non producono più come prima. Poi basta».
Ognuno di loro ha storie da raccontare. C’è chi, ad esempio, denuncia l’aggressione dei cinghiali: in cerca di acqua e di cibo, si avvicinano sempre di più ai campi e alle case.«Basta lavorare per i cinghiali!» recita un cartello. Poi ci sono le coltivazioni di pregio a rischio, a cominciare dai limoni, fino ai carciofi. Da Coldiretti Sicilia sono così arrabbiati che parlano di «fabbrica delle illusioni in cui si annunciano lavori che neanche i progettisti sanno quando saranno ultimati, mentre le piante muoiono e il dramma in campagna continua». Portano dunque esempi concreti, come nel caso del lago di Lentini:«Dopo mesi i test non sono ancora finiti col risultato che oggi si fanno prove con spreco di acqua. Ogni giorno assistiamo a proclami di milioni e milioni di euro, progetti da avviare, altri da concludere col risultato che c’è un inizio ma mai la fine».
In piazza fanno capolino anche i deputati dell’opposizione. Hanno gioco facile. Tra loro c’è il vice capogruppo del Pd, Mario Giambona: «Mentre la Sicilia muore di sete Schifani e la sua maggioranza rimangono sordi al grido di dolore degli operatori agricoli e zootecnici messi a dura prova da una siccità prevedibile dove il governo Meloni non è ancora pervenuto».
Intorno, succede di tutto, un caos di notizie, di voci da verificare. Perché è vero che manca l’acqua, ma le notizie incontrollate abbondano. A Palermo è scoppiata la psicosi dell’acqua razionata dopo che qualcuno ha fatto circolare sui social un finto avviso dell’Amap, la municipalizzata che gestisce il servizio idrico in città, in una rincorsa di annunci, smentite, altri annunci. Poi c’è l’incredibile proposta, emersa in uno dei tanti tavoli tecnici, di travasare i pesci da un lago a un altro, in modo da poter svuotare il primo per irrigare i campi. E poi ci sono le navi cisterna, il vero miraggio dell’estate.
Annunciate, avvistate, invocate – come hanno fatto da sempre i siciliani con i conquistatori, pensate con i portatori d’acqua – alla fine la nave cisterna, che sembrava una nave fantasma di un racconto dei pirati, dato che nessuno l’aveva vista, è spuntata davvero: la nave Ticina della Marina Militare, arrivata a Licata, in provincia di Agrigento, con il suo carico di milleduecento metri d’acqua per mitigare per qualche giorno la sete nell’agrigentino. Ma le polemiche non sono finite. Perché l’operazione è stata gestita per intero dalla Protezione Civile, e l’acqua pare sia di fonte calabra, e dalla Regione Calabria protestano: «Anche noi siamo in emergenza, perché dobbiamo vendere la nostra acqua ai siciliani?». In tempo di autonomia differenziata è un ragionamento che non fa una grinza.
Il presidente Renato Schifani ingaggia invece una guerra contro il New York Times e i giornali internazionali che raccontano dei turisti che disdicono, allarmati, le prenotazioni. «Non c’è nessun calo del turismo e questa fake news di certa stampa internazionale, che vede una Sicilia in ginocchio sul piano turistico, la contesteremo in ogni forma – dice il presidente – ; c’è stata quasi un’aggressione da parte dei media esteri per vendere qualche copia in più».
Schifani se la prende poi con i governi precedenti, e i suoi predecessori, Cuffaro e Musumeci in particolare. Fu l’ex governatore Totò Cuffaro, ai tempi anche commissario per l’emergenza idrica in Sicilia, ad esempio, a volere la realizzazione del dissalatore di Porto Empedocle. EÌ€ costato sei milioni di euro, ha funzionato solo due anni. Sono tre i grandi dissalatori in Sicilia chiusi da quindici anni e ormai inutilizzati perché troppo più dannosi che utili. «Garantivano seicento litri di acqua al secondo – si lamenta Schifani, come se lo scoprisse solo ora – e sono stati disattivati e mai più riattivati».
Per Schifani la soluzione è il «modello Genova», ovvero i pieni poteri in deroga per uscire dalla situazione disastrosa. L’ex presidente del Senato sembra aver preso coscienza, con i suoi tempi, dello stato dell’arte, e parla di un «territorio in cui alcune dighe sono state completate ma mai collaudate, di alcune altre non è stato pulito il fondo e gli ultimi dieci metri sono fatti di sabbia».
La siccità ha portato anche, per la prima volta nella storia, a un anticipo della vendemmia a Luglio. Ma, attenzione, a parte l’eccezionalità del calendario, al momento, succede una cosa stranissima: c’è chi non si lamenta. Anzi, nelle prime analisi che seguono la vendemmia minuto per minuto, vigneto per vigneto la Cia parla di una «vendemmia di qualità con uve sane». Anche se, va detto «alcune aree sono invece in fortissima difficoltà e accusano perdite che vanno dal cinquanta al settanta percento». «Quantità in riduzione, qualità in aumento – fa sintesi Camillo Pugliesi, presidente della Cia della Sicilia occidentale. – Le conseguenze della siccità, in diverse zone, sono state superate, in parte, anche dalla presenza dei laghetti privati, con le limitate riserve idriche che con fatica si è riusciti ad accumulare».
Non ditelo però dalle parti della Sicilia sud occidentale, messa in ginocchio dal cattivo funzionamento della Diga Trinità (ce ne siamo già occupati: non solo è quasi vuota, ma, non essendo mai stata collaudata in mezzo secolo, deve sversare l’acqua a mare …). In quelle zone l’acqua arriva solo per mantenere in vita le piante, altro che produrre. Spiega l’imprenditore agricolo Matteo Paladino: «Tra Mazara e Castelvetrano c’è grande rabbia e frustrazione, perché abbiamo avuto la possibilità di mettere acqua da parte nella diga Trinità per due eventi piovosi tra aprile e maggio, ma è stata invece sversata per problemi di sicurezza. Il risultato è che oggi ci ritroviamo con una diga praticamente vuota, una siccità che dura da un anno e mezzo e i nostri vigneti secchi». «Hanno buttato acqua a mare per quarantacinque giorni – aggiunge un altro produttore, Tommaso Giglio – noi ci siamo ostinati a coltivare questa terra, ma senza irrigazione la vite non sopravvive. Abbiamo perdite del settanta percento e non vediamo futuro per queste coltivazioni. Se lo Stato ci garantisce l’acqua noi continuiamo a coltivare queste terre, altrimenti ce lo dicano chiaramente e diamo i terreni al fotovoltaico e all’eolico. E qua diventa un deserto».