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11/08/2024 06:00:00

 Quale Sicilia vorremmo abitare?

 Quale Sicilia vorremmo abitare?

Forse la domanda è mal posta, anzi sicuramente lo è. Ma da isolano che vive altrove, e avendo quest’estate un tempo diverso a disposizione, giro per i luoghi della mia fantasia. A volte replico spiagge e cose simili, ma la realtà vince maledettamente.

Dimentichiamo di vivere in luoghi sacri che meriterebbero rispetto, e invece ne facciamo strame in nome di non so cosa. Se rubrichiamo il tutto alla voce profitto, sommessamente vorrei dire che di questa forma di sviluppo, a breve, non resterà molto di quanto stanno bruciando. Ma questa è un’altra storia.

Oggi, poi, leggo Marco Marino tra le pagine di questo giornale e della sua distopia del vivere tra Milano e finis terrae. Mi piace che citi il buon Enzo Sellerio: è vero, lui non viveva a Palermo, ma nella sua casa, e non era una delle tante boutade del grande vecchio, ma una visione assoluta. Aveva capito quale fine stava per fare la sua città.

Avete presente un pugile che al centro del ring prende un destro alla mandibola e uno alla bocca dello stomaco? Ecco, è successo a me, vivendo due giornate ai limiti del surreale tra spiagge affollate come la stazione di Calcutta all’ora di punta e un mare ridotto a fogna autentica, nella speranza che la corrente e il vento potessero cambiare il colore pantone, un tempo azzurro invitante (siamo in provincia di Trapani, ma per evitare eccessi di campanilismo, taccio i luoghi ameni).

La rassegnazione non fa parte del mio vivere, e ancora una volta mi ha aiutato una persona e quanto di meraviglioso abbiamo in provincia: andare oltre, sempre, e trovare porto nella Cultura. Guadagnare un luogo che per me è stata casa anni addietro e dove mancavo da troppo tempo – le Orestiadi di Gibellina –, e restare incantati dalle poesie di Patrizia Cavalli e da Iaia Forte che, all’ombra della Montagna di Sale di Mimmo Paladino, ha fatto vivere quel tempo unico, irreale, sospeso, leggendole a suo modo.

Avete mai visto dei cavalli spuntare dal sale? Il potere catartico dell’arte: rileggere un tempo e fissarlo, e la poesia quella sera fu un dono.

Ma l’uomo di oggi se ne fotte bellamente della natura del contesto, massimizza a suo modo, non capendo che ciò che consuma si potrà rigenerare forse in un tempo lungo, lunghissimo. E allora la domanda che il nostro si pone, ovvero cosa facciamo per il bene comune, è corretta. Ma forse, perché è qualcosa per i più immateriale, continuiamo a fare gli struzzi? Ci devono dettare regole ferree e bacchettarci per mala gestione?

Forse non siamo maturi, c’è un fondo di verità nel fatto che gestiamo spazi e luoghi che abbiamo ereditato in modo così maldestro.

La visione di un Ludovico Corrao che, insieme al Maestro Burri, immagina un sudario a Gibellina, quel Cretto oggi finalmente apprezzato e per troppo tempo incompreso, è oggi protagonista di spettacoli come quello di Davide Enia di ieri l’altro, con un ensemble di danza e musica. Trovi pace nella confusione e nella sciatteria in nome di una programmazione, di un progetto. Poco distante da lì, un'altra contemporaneità: il IV secolo e il teatro di Segesta con il suo Festival, luoghi dell’anima dove ritrovi un senso di pace e di sperimentazione con Frida Magoni Bollani.

Olivier Dubois, che danza un suo tempo interiore, ha reso quella quinta scenica che è il Cretto un insieme unico: parole, musica, danza e noi, il pubblico.

Il bene comune, i luoghi condivisi, e forse la visione di chi ancora crede che si possa curare l’anima con la forza delle parole e delle idee. Caro Marco, non mi rassegno ancora a vivere tra le mura di casa mia, ci sarà tempo forse, ma fino a quando troveremo visionari capaci di vivere questo territorio oltre l’ordalia e lo sciattume, dirò sempre grazie.

Il tempo è quello che è e non abbiamo prove generali. Possiamo far coesistere tutto, nutrendo prima l’immateriale – per i più un nonsense – ma è da queste visioni che potremo definirci contemporanei.

Sfruttiamo le visioni finché ci sono, non altro.

Giuseppe Prode