I pm nisseni che hanno riaperto l’inchiesta sulla strage di via D’Amelio hanno avuto accesso agli archivi del Aisi (ex Sisde) e hanno trovato il fascicolo di Arnaldo La Barbera, nome in codice “Catullo”, che prima di sbarcare in Sicilia, fra il 1986 e il 1987 veniva regolarmente stipendiato dai servizi con un “gettone” di un milione di lire al mese. Il nuovo elemento che emerge dalle indagini assume importanza in quanto La Barbera, oltre ad essere costantemente minacciato dalla mafia, è stato posto a capo delle indagini del gruppo investigativo Falcone-Borsellino. Secondo le nuove inchieste, con metodi “forti”, i tre poliziotti oggi indagati hanno confezionato una ricostruzione della strage completamente falsa consegnandolo ai magistrati nisseni.
Ma la procura di Caltanissetta si muove con cautela anche perché non si possono addossare colpe a chi non può difendersi, La Barbera è morto nel 2002. E intanto continuano a tessere per legare gli episodi stragisti dall’89 al ‘92. Il fallito attentato all’Addaura, l’omicidio di Nino Agostino ed Emanuele Piazza fino ad arrivare alle stragi. Erano coordinati sempre da La Barbera gli uomini che fecero la perquisizione in caso Agostino subito dopo la sua morte, facendo sparire – secondo l’accusa – diversi appunti del poliziotto prestato ai servizi per la caccia dei latitanti. E proprio il padre di Agostino, Vincenzo, fu chiamato dall’ex questore nel ‘91 prima di partecipare a una puntata di “Samarcanda”. “Quella sera – ha detto Vincenzo Agostino ai microfoni di Radio Cento passi – La Barbera mi trattenne un’ora alla Squadra mobile, minacciando di arrestarmi. Voleva sapere quello che io dovevo dire in televisione, voleva sapere se avevo appunti che avrebbero potuto danneggiarlo. La Barbera oggi non c’è più, ma ci sono altre persone che sanno la verità . Chi sa, parli”.