La singolare dichiarazione su un altrettanto singolare episodio di cui è stato vittima negli anni passati, è quella di Massimo Ciancimino, in città sabato scorso, a Villa Genna, per presentare assieme ai giornalisti Nino Amadore e Francesco La Licata, il libro “Don Vito”, edito da Feltrinelli, che racconta quarant’anni di relazioni segrete e inconfessabili tra politica e criminalità mafiosa, tra Stato e Cosa nostra. Nel corso del pomeriggio, i cui lavori sono stati coordinati da Giacomo Di Girolamo, Massimo Ciancimino ha delineato con la lucidità la realtà in cui ha vissuto uno dei protagonisti della vita pubblica siciliana e nazionale del secondo dopoguerra, amico personale di Bernardo Provenzano, già potentissimo assessore ai
Lavori pubblici di Palermo, per una breve stagione sindaco della città e per decenni snodo cruciale di tutte le trame nascoste a cavallo tra mafia, istituzioni, affari e servizi segreti. E a chi gli ha chiesto il perché ha scritto questo libro, senza pensarci, ha risposto: “Se tanti anni ho vissuto con mio padre, mi è bastato un anno e mezzo vissuto con mio figlio per trovare la forza per scriverlo, e per capire che bisognava rinunziare a un certo tipo di vita per farne una più sacrificata ma anche meno nascosta. Mio padre è stato un anello di equilibrio tra tanti interessi, in un territorio debole per la non presenza dello Stato”. Ciancimino fa un cenno anche alla vicenda che coinvolge il senatore del PDL Marcello dell’Utri, e dice: “Come ogni ordinanza andrà soltanto rispettata, ci saranno gli addetti ai lavori, anche i giornalisti, che sapranno valutare, spero con la massima serenità ”. E chi, nell’ambito della politica, contrastava Falcone e Borsellino al punto da volerli morti? “Non mi voglio lanciare in dichiarazioni di questo tipo, posso solo dire che sono due eroi, gli unici che abbiamo avuto. Che sono un esempio da seguire e che ce li dobbiamo tenere cari, onorandone la memoria”.