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31/07/2010 04:34:05

Minacce a Gandolfo: Di Pietra condannato anche in appello

giudizio relativo all'appello proposto dall'imputato Alberto Di Pietra, che era stato condannato in primo grado per le minacce e le offese nei confronti dell'avvocato Peppe Gandolfo. Ecco il testo del dispositivo: " Visti gli artt.594, commi primo (chiunque offende l'onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a 6 mesi o con la multa fino ad € 516,00) e quarto (le pene sono aumentate qualora l'offesa sia commessa in presenza di più persone) c.p., 521, 605 c.p.p.; in parziale riforma della sentenza n.77/2009 resa dal Giudice di Pace di Marsala in data 13 novembre 2009, dichiara DI PIETRA ALBERTO colpevole del reato di ingiuria aggravata così diversamente qualificato il fatto di cui all'imputazione e lo condanna alla pena di € 600,00 di multa, condonata ex legge 241/2006 confermando per il resto la sentenza impugnata. Condanna altresì DI PIETRA ALBERTO alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile GANDOLFO GIUSEPPE per il presente grado di giudizio, liquidate in complessivi € 1.067,00. Visto l'art.544 comma 3 c.p.p. fissa in giorni 90 il termine per il deposito della motivazione".

Venerdì 13 novembre Alberto Di Pietra, commerciante marsalese in tappeti, era stato condannato dal Giudice di pace di Marsala al pagamento di una multa di mille euro ed al pagamento di altri mille euro a titolo di risarcimento “provvisionale” del danno arrecato all'avvocato Giuseppe Gandolfo, ex coordinatore provinciale di Libera, impegnato da molti anni nel movimento antimafia. Oggetto della querela fu la diffamazione subita da Gandolfo in seguito ad alcune circostanziate offese fatte da Di Pietra. I fatti risalgono al 2003: Di Pietra telefona a Gandolfo e lo minaccia, e poi si presenta addirittura presso lo studio dell'avvocato Gandolfo.
Negli anni '90 Alberto Di Pietra fu arrestato all'interno dell'operazione antimafia “Patti pù 40” con l'accusa di associazione mafiosa. Successivamente fu assolto, ma fu sottoposto alla misura della sorveglianza speciale, e gli fu sequestrato un immobile, del quale non era riuscito a provare la lecita provenienza. E' stato proprio questo immobile la causa di tutto. La lamentela di Di Pietra nasceva proprio dalla confisca che era stata fatta su questo immobile: si tratta di un appartamento al tredicesimo piano del Palazzo Grattacielo, in Via Curatolo. Questo appartamento verrà poi dato in gestione dal Comune di Marsala al Cif (Centro Italiano Femminile) e utilizzato anche da Libera, diretta all'epoca da Gandolfo, sulla base di un protocollo stipulato da Prefettura, Enti locali, Agenzia del demanio e C.R.E.S.M.