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21/11/2010 10:33:31

Ciancimino: "Dietro l'omicidio De Mauro una regia romana"

teste assistito, nel processo per la scomparsa nel 1970 del giornalista Mauro De Mauro. L’eliminazione di De Mauro avrebbe sconvolto gli equilibri e innescato un meccanismo che poco dopo portò all’uccisione del procuratore Pietro Scaglione. La fonte di queste informazioni è Vito Ciancimino, l’ex sindaco di Palermo che proprio nel 1970, racconta il figlio, assunse il ruolo di informatore dei servizi e di «mediatore» tra gli ambienti istituzionali e i capi emergenti di Cosa nostra.

Ciancimino jr ha fatto soprattutto riferimento alla «triade», come l’ha definita, composta da Luciano Liggio, Totò Riina e Bernardo Provenzano con i quali il padre aveva rapporti sin dagli anni giovanili. Con Liggio il figlio di don Vito ricorda un incontro in vacanza a Sirmione mentre Riina e Provenzano (che si presentava come il geometra Lo Verde) avevano frequentato la sua casa. Il collegamento fra il caso De Mauro e il delitto Scaglione viene ricondotto da don Vito alle trame della regia «romana». Lo ha scritto lui stesso in alcuni appunti che il figlio, prima di deporre in aula, ha consegnato alla Procura. Con Scaglione l’ex sindaco aveva un’amicizia familiare. Il figlio ricorda che si trovava a casa del procuratore la sera del luglio 1969 in cui la tv trasmetteva le immagini dello sbarco sulla luna. Quando il magistrato fu ucciso, il 5 maggio 1971, don Vito rimase profondamente colpito. Si sentì così male che dovette essere assistito da un medico. Nutriva perfino, ha ricordato il figlio, un complesso di colpa perchè proprio a lui i suoi «compaesani» corleonesi avevano chiesto di intervenire su Scaglione perchè riesaminasse gli atti del processo a Liggio. Ma il procuratore aveva opposto un rifiuto. Quella comunque non era l’unica missione affidata dai corleonesi a don Vito. Sempre a Scaglione avrebbe dovuto chiedere notizie su un’inchiesta sui cugini esattori Nino e Ignazio Salvo per oscure questioni fiscali. E anche in quell’occasione il magistrato non rivelò nulla. Dopo il delitto Scaglione, Ciancimino chiese spiegazioni al boss Stefano Bontade, altro frequentatore della casa di don Vito. E fu proprio Bontade a rispondere che la mafia «aveva dovuto fare» l’agguato su input romani.

L’audizione si è a lungo soffermata sul ruolo di Ciancimino quale «mediatore». Gli era stato assegnato, ha precisato il figlio, proprio nell’anno cruciale 1970. Molte cose erano accadute in quell’anno. Il 16 settembre era scomparso De Mauro, a novembre Ciancimino era stato eletto sindaco (era rimasto in carica solo 19 giorni dopo una dura campagna del giornale l’Ora e le accuse dell’ex capo della polizia Angelo Vicari), nel dicembre sarebbe stato tentato il golpe di Junio Valerio Borghese. E sempre in quell’anno Ciancimino venne convocato da alcuni esponenti della Dc, tra cui il ministro dell’Interno del tempo Franco Restivo, per invitarlo ad assumere un ruolo nazionale. E per farlo diventare un «mediatore» con Cosa nostra. In questa veste si mosse per capire le motivazioni del rapimento di De Mauro. «Ne parlò», ha detto il figlio, «proprio con Scaglione al quale rappresentò anche lo spessore dell’avvocato Vito Guarrasi, il cui nome era entrato nell’inchiesta sulla scomparsa del giornalista. Lo aveva messo in guardia sui rapporti che Guarrasi aveva sia con ambienti istituzionali romani sia con uomini di Cosa nostra«. (Fonte Ansa).