Questa lettera parte da un problema, quello del cosiddetto «sbattezzo», che in fondo, come vedremo, non è un problema, ma solo un modo di dire, e giunge, nella seconda parte, a sollevare quello che invece è un vero problema: il riconoscimento del battesimo celebrato in chiese diverse dalla propria.
Perché lo «sbattezzo» non è un problema? Per il semplice motivo che, come la nostra lettrice giustamente osserva, «sbattezzarsi» è materialmente impossibile, come lo è «svaccinarsi» (l’esempio da lei portato è calzante, anche se, ovviamente, il battesimo non ha nulla a che vedere con una vaccinazione!), così come è impossibile cancellare una promozione o una bocciatura a scuola, o un matrimonio contratto (anche se poi è naufragato), e così via. Nulla di quello che è accaduto nella nostra vita può essere cancellato: può eventualmente essere corretto e migliorato, oppure rimpianto, o deplorato, o detestato, o rimosso, ma non può essere cancellato. Al massimo può essere dimenticato, cioè cancellato dalla nostra memoria, ma non dalla realtà dei fatti. Quindi «sbattezzarsi» non si può. «Sbattezzarsi» è solo un modo di dire. Per dire che cosa? Per dire che si vuole rompere ogni legame con la Chiesa e in particolare, nel nostro paese, con la Chiesa cattolica. Siccome secondo la teologia cattolica si appartiene alla Chiesa mediante il battesimo, «sbattezzarsi» equivale a uscire dalla chiesa e non volere aver più niente a che fare con lui. Quindi «mi sbattezzo» significa: «Non riconosco il battesimo che mi è stato imposto a mia insaputa e senza il mio consenso; perciò nego a quell’atto qualunque valore, lo dichiaro nullo, per me è come se non fosse avvenuto, mi spoglio del mio vestito di battezzato e lo restituisco, alla quale non voglio in alcun modo appartenere». Ma mentre è possibile farsi cancellare dai registri di una Chiesa, non è possibile cancellare il proprio battesimo, neppure strappando (almeno idealmente) la pagina su cui il battesimo è stato registrato. Ma lasciamo lo «sbattezzo», che è – sia chiaro – una scelta assolutamente legittima (anche se formulata male), ma che non è un problema, e veniamo al battesimo, che invece è uno dei maggiori problemi teologici ed ecumenici non solo del nostro tempo, ma di tutta (o quasi) la storia della Chiesa. È tutto un problema irrisolto, tanto da costituire uno dei principali motivi di divisione tra i cristiani. Non c’è infatti accordo tra loro né sul significato del battesimo, né sull’età per riceverlo, né sulle forme per celebrarlo. Si sente spesso dire in ambienti ecumenici: «Siamo tutti, come cristiani, uniti nel battesimo». È una mezza verità: la verità intera è che il battesimo ci unisce e ci divide al tempo stesso. Ci unisce perché tutte le Chiese battezzano e i cristiani si possono dire «uniti nel battesimo» nel senso che sono tutti battezzati. Ma il battesimo ci divide sia perché, come ho appena detto, nelle diverse Chiese le forme e le interpretazioni del battesimo sono diverse e, in qualche caso, difficilmente conciliabili, sia perché non tutte le chiese riconoscono come valido il battesimo celebrato in chiese diverse dalla propria, mentre ce ne sono altre che riconoscono una sola forma di battesimo, indipendentemente dalla chiesa che lo celebra. Quindi il battesimo ci unisce e ci divide: è uno dei tanti paradossi che accompagnano la nostra esistenza come Chiese divise.Neppure ci può molto consolare il fatto che il problema non è nuovo, è antico. Si pose già nella Chiesa dei primi secoli, in due modalità e in due contesti diversi. Nel contesto della «grande Chiesa» (quella maggioritaria, vittoriosa sull’arianesimo, sul donatismo e su altre tendenze giudicate eterodosse) si discuteva se il battesimo amministrato in una comunità giudicata eretica, ma pur sempre cristiana, dovesse essere ripetuto quando l’«eretico» entrava nella «grande Chiesa», oppure dovesse essere considerato valido, e quindi non ripetuto. Nel contesto invece della Chiesa donatista si negava che fosse valido il battesimo amministrato da un sacerdote della «grande Chiesa», giudicato però indegno (perché durante la persecuzione aveva dissimulato o rinnegato, almeno esteriormente, la fede), e quindi chi, battezzato da quel sacerdote nella «grande Chiesa», passava alla Chiesa donatista veniva ribattezzato.
Ma contro la ripetizione del battesimo si pronunciarono, con una legge civile riportata nel Codice di Giustiniano, gli imperatori Onorio e Teodosio, che decretarono addirittura la pena di morte per chi ribattezzava una persona già battezzata! Non si sa, a dire il vero, se e quanto questa legge sia stata concretamente applicata. Si può però presumere che abbia contribuito, almeno come minaccia, a dissuadere chiunque dalla pratica del ri-battesimo e a rendere il battesimo dei bambini l’unica forma di battesimo praticata nella società cristiana europea (tranne, s’intende, che nel caso di popoli pagani che diventavano cristiani). La reazione venne nel XVI secolo con il movimento anabattista, che, sfidando una tradizione millenaria, negava qualsiasi valore al battesimo dei bambini, e quindi ribattezzava le persone che così erano state battezzate e aderivano alle loro comunità. Gli anabattisti sono stati duramente perseguitati da tutte le «chiese stabilite», comprese quelle della Riforma. Molti sono stati messi a morte: il loro martirio è stato uno dei maggiori della storia cristiana. Il giudizio dei Riformatori sugli anabattisti è stato pesante e, per quanto concerne la questione battesimale, ingiusto, nel senso che i Riformatori non sono stati in grado di riconoscere le ragioni evangeliche della posizione degli anabattisti, anche se la loro teologia del battesimo poteva e può essere messa in discussione. C’erano naturalmente altre questioni che spiegano il giudizio negativo della Riforma sull’Anabattismo; in particolare c’era quella che possiamo chiamare l’astinenza politica degli anabattisti, che li induceva a rifiutare qualunque coinvolgimento nella gestione della cosa pubblica, che essi consideravano «fuori della perfezione di Cristo», e dunque, secondo loro, compromettente per un cristiano. I Riformatori criticavano, credo giustamente, questo atteggiamento e vedevano nell’anabattismo – per riprendere una espressione di Lutero – «un nuovo monachesimo». Ma questa è un’altra questione, rispetto a quella che stiamo trattando: il battesimo che gli anabattisti praticavano – quello dei credenti – non solo su coloro che non erano ancora battezzati, ma anche su coloro che erano stati battezzati da bambini. Le Chiese battiste hanno ripreso, a partire dalla fine del Cinquecento, l’idea e la prassi anabattista, che si è poi affermata nei secoli successivi anche in altre Chiese dell’evangelismo moderno. Ora la nostra lettrice nota giustamente che alla base del battesimo praticato su un adulto battezzato da bambino c’è il mancato riconoscimento di questo battesimo, e si pone di conseguenza una serie di domande, a cominciare da questa: quali Chiese riconoscono il battesimo impartito dalle altre? Ecco la risposta. La Chiesa cattolica, ufficialmente, riconosce tutti i battesimi, dovunque e da chiunque celebrati (quindi anche quelli celebrati nelle Chiese evangeliche, di qualunque tipo), purché lo siano «con acqua e nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». La stessa posizione è sostenuta dalla Comunione anglicana e dalle Chiese luterane, riformate (la Chiesa valdese è una di queste) e metodiste. Le Chiese ortodosse invece sono restie a riconoscere i battesimi celebrati fuori dalle Chiese Ortodosse. Le Chiese battiste, avventiste, dei Fratelli, pentecostali di tutte le tendenze, e altre ancora – cioè tutte le Chiese che praticano solo il battesimo dei credenti – non riconoscono il battesimo dei bambini, da qualunque chiesa (cattolica, evangelica o ortodossa) venga celebrato. Per queste Chiese chi è battezzato da bambino non è battezzato. Questo non significa che non sia cristiano, significa che – secondo queste Chiese – è un cristiano non battezzato. Altro paradosso, perché se si può essere cristiani senza essere battezzati, vuol dire che il battesimo non è costitutivo dell’essere cristiani.Il problema, insomma, esiste ed è abbastanza serio. È chiaro che le Chiese che praticano solo il battesimo dei credenti e riconoscono solo quello come unica forma valida di battesimo cristiano, hanno una teologia del battesimo diversa da quella delle Chiese che praticano anche il battesimo dei bambini. La diversità è tale da rendere finora impossibile un accordo. La situazione pareva bloccata quando, nel 2002, un teologo battista inglese, Paul S. Fiddes, ha pubblicato un saggio in cui il battesimo viene visto non tanto con evento in sé concluso, ma come processo che in realtà dura tutta la vita ed è messo in moto dal «Sì» divino della grazia (battesimo dei bambini), ricevuto e confessato dal «Sì» umano della fede (battesimo dei credenti). Entrambi hanno il loro senso e possono coesistere nella comunità cristiana, interpellandosi a vicenda. La proposta di Fiddes può, mi sembra, sbloccare la situazione e aiutarci a superare una divisione secolare che riguarda proprio il fondamento della vita cristiana.
Tratto dalla rubrica Dialoghi con Paolo Ricca del settimanale Riforma del 28 gennaio 2011