al quale a Settembre i magistrati hanno messo sotto chiave beni per un miliardo e mezzo di euro, ritenendo che siano frutto dell’appoggio di Cosa nostra alla sua attività. In Tribunale è proprio in corso il processo documentale per capire quanti e quali tra i beni di Nicastri siano certamente riconducibili alla sua attività e sui quali invece sia difficile dimostrare la provenienza lecita. All’esame dei giudici ci sono dunque certificati, contratti, carichi pendenti di amministratori, transazioni presentati dalla Dia, e dagli avvocati della difesa, che cercano – ovviamente – di dimostrarne la provenienza lecita. Si tratta di una mole immensa di lavoro, dato che l’impero di Nicastri comprende – per esempio – ben 43 società nel campo dell’energia alternativa. E poi tantissimi immobili, tra cui la sala ricevimenti “Panorama” in costruzione ad Alcamo. Tra i documenti presentati dalla difesa anche una sentenza di un vecchio processo di mafia in cui parte offesa fu il fratello di Vito Nicastri, Nicolò. Come dire: noi la mafia l’abbiamo combattuta. Sono stati prodotti anche gli atti dell’inchiesta “Iblis” della Procura di Catania (quella, per intenderci, che coinvolge anche il presidente della Regione, Raffaele Lombardo) e dove il nome di Nicastri compare diverse volte perché aveva affari con alcuni imprenditori poi risultati indagati.
C’è tutto il capitolo, ancora da scoprire del tutto, dei rapporti di Nicastri con la politica. Nel 1994, dopo una disavventura giudiziaria, Vito Nicastri svelò per primo ai magistrati della Procura di Palermo il grande business che ruotava attorno al fotovoltaico. Disse di aver pagato tre miliardi delle vecchie lire al segretario particolare dell' assessore all' Industria Luigi Granata. Spiegò che questo era il modo per oliare i finanziamenti che ruotavano attorno all' installazione degli impianti. E aggiunse: «Quei soldi servono anche per finanziare le campagne elettorali del Psi». I magistrati apprezzarono la confessione e Vito Nicastri potè patteggiare una condanna a un anno e sei mesi.
Per la Dia Nicastri è contiguo ai bossi, per la «comunanza di interessi, una lunga attività di fiancheggiamento e di scambio di reciproci favori, un rapporto fondato sulla fiduciae sui vicendevoli vantaggi che ne possono derivare». In ogni piazza d' investimento Nicastri avrebbe trovato un partner criminale. Da Matteo Messina Denaro, nella provincia di Trapani; a Lo Piccolo, nel Palermitano; agli ' ndranghetisti di Platì, Africo e San Luca. Nel covo di Giardinello dove furono arrestati Salvatore e Sandro Lo Piccolo, il 5 novembre 2007, c' era un pizzino che parlava dell' imprenditore di Alcamo: «Nicastro di Alcamo - era scritto - continuare con Scinardo. Escludere i fratelli Severino. Ok».
Gli investigatori della Dia hanno già passato al setaccio tutti i conti leciti di Nicastri, e qualche curiositàè subito emersa: nel marzo 2008, l' imprenditore ha fatto tre bonifici a Riccardo Savona, oggi deputato regionale e presidente della commissione Bilancio dell' Ars. Probabilmente, fu un contributo elettorale. Scrive il direttore della Dia nella sua proposta al tribunale per le Misure di prevenzione di Trapani: «Per inciso, si rappresenta che nel luglio 2010 l' Ars ha approvato in via definitiva la legge sugli aiuti alle imprese, che di fatto sblocca i Por 2007/2013 e consente di effettuare spese per circa 15 miliardi di euro, grazie anche al parere favorevole espresso dalla commissione della quale Savona è presidente». Non fu il solo contributo elettorale fatto da Nicastri nel 2008. F r a l e u s c i t e d e l c o n t o «010897267» figura la cifra di «3.001 euro»: «Bonifico del 31 marzo 2008 in favore dell' avvocato Pennisi Antonio per contributo campagna elettorale Raffaele Lombardo».
Prossima udienza il 22 Febbraio.