Per il delitto è imputato il boss Totò Riina. Naimo, sentito come teste assistito, sta parlando della sua storia in Cosa nostra dall'affiliazione alla famiglia di Tommaso Natale avvenuta davanti al capomafia dell'epoca Nené Messina. E' la prima volta che Naimo, arrestato a ottobre del 2010, compare in un'aula di giustizia.
"Mi sono allontanato da Cosa Nostra perché mi faceva schifo cosa era diventata. Lo dissi a Ferrante, nel 1993, nel dirgli addio". Così il pentito Rosario Naimo racconta la sua delusione "verso la mafia" di cui aveva fatto parte fin dal 1964. Ma nonostante la sua disaffezione verso i clan Naimo è rimasto latitante e si è pentito solo nel 2010, dopo l'arresto. I suoi rapporti con le cosche, però, si interruppero nel 1993 quando lasciò Palermo per trasferirsi in Corsica. "Quando abbiamo cominciato - ha detto Naimo - non eravamo i terroristi che poi siamo diventati. Facevamo la colletta per aiutare chi aveva bisogno. Poi è cambiato tutto. E a me quella Cosa nostra faceva schifo". Naimo ha anche raccontato la sua permanenza negli Usa e i suoi rapporti con le famiglia mafiose siciliane che erano negli Usa.
"Emanuele D'Agostino mi raccontò che aveva preso De Mauro su ordine dello zio Totuccio (Totò Riina ndr). Lo vide arrivare in auto, aprì lo sportello e non gli diede tempo di scappare. Lo colpì al viso col calcio pistola e, insieme al ragazzo che lo aiutava nella missione, lo mise nel sedile dietro della loro macchina". E' il drammatico racconto del sequestro del giornalista Mauro De Mauro ucciso dalla mafia, fatto dal pentito Rosario Naimo, test al processo per il delitto a carico del boss Riina. Naimo riferisce cosa del sequestro gli disse D'Agostino, uomo di Bontade, incaricato del rapimento, in un incontro a settembre del 1972. "D'Agostino, proprio per farmi capire che ruolo aveva assunto in Cosa nostra, mi raccontava di De Mauro come fosse una cosa di cui vantarsi", ha proseguito Naimo.
"De Mauro, per quello che mi ha detto D'Agostino - ha spiegato il pentito- dopo essere stato colpito era stonato e pieno di sangue. Mentre il ragazzino guidava, D'Agostino gli puntava la pistola per non farlo parlare. Fingeva di averlo confuso con un altro, lo chiamava con altro nome e gli diceva che l'aveva preso perché aveva dato fastidio alla sorella". "Poi quando arrivarono in un terreno dei Madonia - ha spiegato - lo fecero scendere e lì c'era Riina". "A quel punto gli dissero - ha raccontato - 'caro De Mauro' svelando che sapevano benissimo chi avevano rapito e subito lo uccisero forse sparandogli". D'Agostino avrebbe detto a Naimo che fecero sparire il corpo. Il pentito non ricorda se l'amico gli disse che l'avevano buttato in un pozzo. Naimo ha ribadito che l'ordine di rapire De Mauro partì da Riina ma che erano d'accordo anche i boss Ciccio Madonia e Stefano Bontade.
"D'Agostino mi disse che avevano ammazzato De Mauro perché attaccava sempre la mafia nei suoi articoli". Lo ha detto il pentito Rosario Naimo deponendo al processo per l'omicidio del cronista Mauro De Mauro. Naimo riferisce i racconti di Emanuele D'Agostino, il mafioso che, su ordine di Totò Riina, unico imputato per l'omicidio, rapì il cronista il 16 settembre del 1970. "D'Agostino - ha aggiunto il pentito - poi fu ucciso perché nella seconda guerra di mafia non si allineò coi corleonesi. Lo tradì un suo fraterno amico: Saro Riccobono. Me lo disse Gambino" "Mi disse - ha spiegato - che mentre lo strangolava D'Agostino disse a Riccobono: 'solo tu mi potevi tradire'".
"Quando, dopo anni, rividi, nel '72 Emanuele D'Agostino, per farsi bello mi cominciò a raccontare tutto quello che aveva fatto di importante per la mafia negli ultimi anni: come la strage di viale Lazio". Lo ha detto il pentito Rosario Naimo deponendo al processo al Boss Riina, imputato dell'omicidio del cronista Mauro De Mauro. "Della strage di viale Lazio (avvenuta nel '69 per eliminare il boss Michele Cavataio ndr) - ha aggiunto Naimo - D'Agostino mi disse che parteciparono il signor Riina, Provenzano, Calogero Bagarella e altri due o tre". "Bagarella - ha proseguito - morì nel conflitto. Il suo corpo durante la fuga del commando fu messo nel cofano di un'auto che poi in corsa si aprì". "Dietro - ha raccontato - c'era un bus e l'autista e anche alcuni passanti videro il corpo di Bagarella. Poi il cadavere fu portato in un terreno del boss Madonia".
Fonte: ansa