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27/02/2011 05:30:50

Il sogno nella Bibbia

  Questa lettera sottopone alla nostra attenzione un tema insolito, mai affrontato in nessun’altra lettera pervenuta a questa  rubrica da quando esiste: il tema del sogno. Il nostro lettore constata che nella Bibbia il sogno come mezzo di  comunicazione di Dio e con Dio occupa un posto tutt’altro che secondario, mentre nelle chiese cristiane, compresa la  nostra, non occupa praticamente nessun posto; e ha ragione di porre, alla fine della lettera, una serie di interrogativi più  che legittimi. I punti da trattare mi sembra siano tre: il sogno; il sogno nella Bibbia; l’eclisse del sogno nella vita della  Chiesa e i modi possibili per superarla.   1. Il sogno. È un tema quanto mai vasto ed estremamente complesso. Interessa la religione, la filosofia, la psicologia, la psicoanalisi e altre discipline collaterali. È un fenomeno universale, di cui ogni persona umana fa l’esperienza, ma è  anche un fenomeno assolutamente personale, spesso difficile da decifrare anche per la persona che sogna: non  esistono, sembra, criteri generali, universalmente validi, per l’interpretazione dei sogni. Nell’antichità si pensava che il  sogno fosse un fatto soprannaturale e ci sono stati studiosi che hanno ravvisato nell’esperienza del sogno la nascita  della credenza in un Aldilà, in un «altro mondo» diverso da quello che sperimentiamo nello stato di veglia, e quindi  hanno visto nei sogni l’origine della religione. Nella modernità invece si pensa, in generale, che il sogno sia un fatto  naturale, la cui genesi viene spiegata in molti modi (stimoli fisici e psichici, incontri, ricordi, nodi irrisolti della vita,  desideri o impulsi repressi, rimozioni di varia natura), ma che resta in fin dei conti abbastanza misteriosa. I sogni  possono essere fausti e infausti; questi ultimi diventano facilmente incubi, come accadde alla moglie di Pilato che  consigliò (invano) al marito di non avere nulla a che fare con Gesù «perché oggi ho sofferto molto in sogno a cagione di  lui» (Matteo 27, 19). Ma già nell’antichità si levarono voci scettiche o critiche, come a esempio quella di Cicerone il  quale, nel De divinatione, vede nella divinazione (che era una specie di «religione dei sogni») nient’altro che  superstizione. Cicerone nega che «esista alcuna forza divina produttrice dei sogni» e sostiene che «nessuna visione  apparsa nel sonno proviene dalla volontà degli dèi» (2, 124). E aggiunge che, siccome sono più chiare e sicure le cose  viste da noi in stato di veglia che quelle che ci appaiono in sogno, «sarebbe stato più degno della bontà divina – se  davvero gli dèi intendessero con questo mezzo curarsi di noi – inviare visioni più chiare a chi è sveglio, non più oscure a  chi dorme» (2, 126). Così la pensava Cicerone sui sogni. Ma non così la pensa la Bibbia.   2. Il sogno nella Bibbia. La Bibbia è piena di sogni. Dio non è un sogno, ma fa sognare (Salmo 126, 1!). Fa sognare in  due sensi: anzitutto nel senso che comunica con gli uomini anche attraverso sogni; in secondo luogo nel senso che suscita in certe persone (profeti e altri) delle «visioni», che sono, per così dire, sogni a occhi aperti. L’elenco dei sogni  nella Bibbia sarebbe lungo. Il nostro lettore, a titolo di esempio, menziona quello bellissimo di Giacobbe (Genesi 28,  10-22), nel quale c’è la scala che unisce cielo e terra (Gesù, in Giovanni 1, 51, ha ripreso questo motivo: la «scala» è  lui!), ma soprattutto c’è la parola con la quale Dio stabilisce un patto con Giacobbe, decisivo per la sua vita; e ricorda i  sogni di Giuseppe, con i quali Dio lo informa sulla nascita miracolosa di Gesù, sulla necessita della fuga in Egitto per  salvare la vita del bambino e sulla possibilità di ritornare in patria dopo la morte di Erode. Si possono ricordare ancora,  sempre a titolo di esempio, i numerosi sogni di Giuseppe figlio di Giacobbe – e suoi (Genesi 37, 5-11) e quelli del  Faraone di cui Giuseppe svela il significato (Genesi 40 e 41), e, nella stessa linea, il sogno di Nebucadnetsar spiegato  da Daniele (Daniele 2). E ancora il sogno di Salomone nel corso del quale chiede a Dio di dargli «un cuore intelligente»  per essere in grado di «amministrare la giustizia e discernere il bene dal male» (I Re 3, 5-9).Sogno e  profezia erano all’inizio strettamente collegati tra loro (Numeri 12, 6) e, in genere, il sogno era considerato un mezzo  normale di comunicazione di Dio con l’uomo. Addirittura il profeta Gioele annuncia un tempo in cui lo Spirito di Dio sarà sparso «sopra ogni carne», cioè su ogni persona umana, e una delle sue manifestazione sarà che i vecchi avranno dei sogni e i giovani delle visioni (2, 28 s.) – testo che, com’è noto, Pietro cita nel suo sermone di Pentecoste (Atti 2, 17).  Dio dunque fa sognare e si serve del sogno per «parlare» all’uomo. Al tempo stesso però si manifesta già nell’Antico  Testamento una critica del sogno in rapporto alla polemica contro la falsa profezia: il falso profeta è «un sognatore»  (Deuteronomio 13, 1-5), che con i suoi sogni pensa di far dimenticare il nome di Dio al popolo d’Israele (Geremia 23,  25-28). I sogni di falsi profeti sono «paglia», mentre la parola di Dio recata da Geremia è «frumento». Anche  l’Ecclesiaste è critico nei confronti dei sogni (5, 2.6-7), e nella stessa linea il libro deuterocanonico del Siracide afferma  che «oracoli, auspici e sogni sono cose vane», perciò «non permettere che se ne occupi la tua mente» (34, 5-6). Rispetto all’Antico Testamento, nel Nuovo i sogni sono molto pochi. Oltre a quelli già citati di Giuseppe, ci sono i sogni  dell’apostolo Paolo in momenti cruciali del suo ministero (Atti 16, 9-10; 18, 9; 23, 11), ma più che di sogni si tratta di  «visioni» (che ricorrono anche in altre occasioni: Atti 9, 1-9; 27, 23 s.), nel corso delle quali viene impartito a Paolo un  ordine preciso, missionario o di altro genere: il contenuto del sogno o della visione è sempre una parola, che non è da  interpretare, ma semplicemente da ubbidire. Il sogno resta dunque anche nel Nuovo Testamento un mezzo con il quale  Dio, in certe circostanze, comunica la sua volontà. Non però in tutto il Nuovo Testamento: sogni e visioni non compaiono  er niente in Marco, negli scritti di Giovanni, nella maggioranza delle Lettere apostoliche e neppure nell’Apocalisse, che nasce non da un sogno, ma da una visione. Il sogno non è mai associato ai racconti della risurrezione e agli incontri con il Risorto: i discepoli, in quelle occasioni, non hanno sognato! Colpisce anche il fatto che   sogni e visioni non compaiano nelle liste dei carismi ((I Corinzi 12, 4-11; Romani 12, 6-8) e neppure nella descrizione  dei primi culti cristiani (I Corinzi 14, 26-33). Questo non significa che nel Nuovo Testamento ci sia una diffidenza nei  confronti di sogni e visioni: essi sono ancora visti come possibili mezzi di comunicazione tra Dio e l’uomo, ma sono  meno abituali e quindi meno frequenti che in altri momenti della storia della salvezza. Il mezzo di comunicazione  principale e normale tra Dio e l’uomo è la Parola, rivolta a persone sveglie. 3. L’eclisse del sogno. Il sogno ha  continuato a occupare un certo posto (marginale) nella vita di fede e nella storia della Chiesa antica e medievale, e  occasionalmente, anche in quella moderna, come dimostra, ad esempio, la celebre opera di John Bunyan (1628-1688)  Il viaggio del pellegrino [cristiano] verso l’altro mondo sotto forma di un sogno. È un fatto però che, soprattutto in tempi  più recenti, nella normale vita cristiana il sogno non è valorizzato come possibile esperienza religiosa e non occupa  alcun posto di rilievo nella predicazione, nella teologia, nella pratica pastorale e soprattutto nel culto comunitario. L’unica  ccezione sembra essere costituita oggi da certe chiese pentecostali, nelle quali il sogno svolge almeno  occasionalmente un qualche ruolo. A che cosa si deve attribuire questa eclisse del sogno nella vita della Chiesa? Al  timore di «derive misticheggianti», secondo una possibile ipotesi avanzata dal nostro lettore? Più probabilmente a una  certa atrofia della vita spirituale nelle nostre comunità e a un deficit di socializzazione delle esperienze di fede nel culto  pubblico. Ci teniamo tutto dentro, anche quello che potrebbe servire all’«utile comune» (I Corinzi 12, 7), cioè alla  edificazione della Chiesa. In compenso, la nostra generazione a beneficiato di alcuni sogni «a occhi aperti», come il  famoso I have a dream ( = «Ho un sogno») di Martin Luther King, che ha mobilitato e continua a mobilitare milioni di  persone in tutto il mondo. Un ricupero di familiarità con il sogno nella vita della Chiesa potrebbe partire da qui: sognare  (a occhi aperti, o anche chiusi, i sogni degli altri), in particolare dei poveri, degli ultimi in tutti i sensi, di quelli che  sognano ciò che dovrebbero avere, ma non hanno. E chiedere a Dio di darci una vita spirituale più ricca e più varia,  fatta non solo di pensiero e di morale, e di renderci capaci di condividerla con altri, liberandoci da una privatizzazione  estrema della vita di fede. Potrà allora accadere che si compia anche nelle nostre Chiese la promessa di Pentecoste:   vecchi che hanno dei sogni e giovani che hanno delle visioni.   Paolo Ricca - 'Riforma' del 25 feb 2011 - www.chiesavaldesetrapani.com