Nel frattempo il pm Gaetano Paci ha formalizzato alla Corte d'assise di Trapani, davanti alla quale si celebra il processo, la richiesta di interrogare per la seconda volta due testi, ritenuti reticenti: si tratta del generale in pensione dei carabinieri, Nazareno Montanti, e del luogotenente dell'Arma, Beniamino Cannas. La procura distrettuale antimafia di Palermo ha accertato che i due militari, autori di informative redatte su notizie fornite da Rostagno, sentiti come testi in aula, avrebbero omesso di parlarne.
E sono state molte le polemiche che hanno accompagnato l’ultima udienza, quella in cui ha deposto per la seconda volta Elisabetta Roveri, compagna di Rostagno. “E’ Beautiful o un processo?”, ha chiesto, seccata, Roveri, interrogata dagli avvocati della difesa dei due imputati del processo (il killer di mafia Vito Mazzara e il capomafia trapanese Vincenzo Virga) che hanno tentato di esaminare altre piste, oltre quella mafiosa, cercando di capire cosa succedesse all’interno della comunità dove Rostagno alloggiava, la Saman, quali relazioni avesse la coppia, quali fossero i rapporti di Rostagno con Cardella, il “guru” della comunità Saman, con cui aveva un rapporto molto teso.
Ha dichiarato Roveri: “Sin dall’inizio ho pensato che fosse un delitto mafioso. L’attività svolta da Mauro, le minacce subite, le modalità dell’omicidio m’inducevano a ritenere che fosse maturato nell’ambito di Cosa Nostra”. Molte le stranezze sulle indagini “Per otto anni – denuncia Roveri – nessuno ha indagato sulla mafia. Si è sminuito il lavoro di Mauro, non si sono letti i suoi editoriali. C’è stato un continuo indagare sui nostri amori, sulle cose economiche. Ma Mauro era innanzitutto un giornalista che denunciava il malaffare. Che la sua morte sia opera alcuni disgraziati, che per un motivo o per l’altro avevano una ragione per ucciderlo, francamente è poco credibile”. “Mauro, sia da vivo che da morto – ha continuato - ha subito ripetuti attacchi. Lo si è fatto passare per un pazzo o un fetente. L’importante era che non si dicesse che Mauro stava scoprendo cose importanti, stava facendo dei collegamenti
Elisabetta Roveri fu anche arrestata con l’accusa di avere favorito gli assassini del suo compagno. L’allora procuratore di Trapani Gianfranco Garofalo aveva ipotizzato che l’uccisione di Mauro Rostagno fosse maturata all’interno di Saman. Tra le persone finite in manette, con l’accusa di avere preso parte all’agguato, c’era anche Luciano Marrocco, con il quale lei aveva una relazione. Tutti gli indagati furono successivamente scarcerati e scagionati da ogni accusa.
E si fanno sempre più misteriosi i contorni della vicenda Rostagno. Perché ora, dopo la videocassetta e l’audiocassetta, spunta anche un blocco degli appunti. E’ stato ritrovato nell’archivio della Procura di Trapani. La magistratura l’aveva acquisito agli atti, ma poi se lo era scordato. Secondo la moglie «Quelle carte svelano la complicità tra Stato e Cosa nostra».
In quei fogli il giornalista fa riferimento alla loggia Scontrino, che negli anni ‘80 riuniva mafiosi, politici e i professionisti più in vista di Trapani. «Questura e palazzo di giustizia», è frase conclusiva di un appunto. Rostagno era sulle tracce dei rapporti tra uomini della Procura di Trapani e il clan Minore, prima di morire. «Se gli appunti fossero stati esaminati all’indomani del delitto, probabilmente le indagini avrebbero intrapreso subito la pista della mafia che adesso, dopo 23 anni, abbiamo riconsiderato», dice il sostituto procuratore Gaetano Paci.