Della Chiave ha già ammesso in primo grado di essere stato l’autore della rapina, ma ha ribadito, tramite il suo legale Salvatore Pennica, di non avervi partecipato. La difesa è sempre quella (e i giudici di primo grado non gli hanno creduto): "Avevo bisogno di soldi. In quel periodo non lavoravo e facevo uso di cocaina. Avevo deciso di fare una rapina. Proposi ad Orazio Montagna di parteciparvi, ma poi ci ripensai ed allora lui fece il colpo insieme con altri". Secondo il legale contro Della Chiave non vi sarebbe alcuna prova. L’unica prova, l’impronta della scarpa rinvenuta sulla scena del delitto non consente, secondo il legale, di affermare la colpevolezza dell’imputato. Giovan Battista Della Chiave ha spiegato infatti di avere prestato le scarpe ad Orazio Montagna. Sulla scena del delitto, rileva ancora il difensore, non è stata trovata alcuna impronta digitale di Giovan Battista Della Chiave. Dai tabulati telefonici emerge inoltre che il telefono cellulare nella disponibilità dell’imputato agganciò quella sera, in un orario prossimo a quello del delitto, una cella nel territorio di Marsala. Nessun testimone, sottolinea la difesa, ha riconosciuto l'imputato. Per la difesa i veri responsabili sono altri. Giovan Battista Della Chiave fornì, nel corso del processo, anche i nomi delle persone che avrebbero affiancato l'amico durante la rapina. «Dopo il colpo - disse - Orazio venne a trovarmi. Mi riferì che era accaduto un casino. Che quello gli aveva sparato. Non mi disse chi aveva premuto il grilletto. Mi lasciò comunque intendere che a sparare era stato suo cugino».
Oggi il processo proseguirà con la replica del Pm. La pubblica accusa ha chiesto la condanna di Giovan Battista Della Chiave all'ergastolo e di Orazio Montagna a trent'anni.