Il killer fu il boss Giuseppe Graviano. Il movente: il magistrato sapeva troppo sui colloqui tra mafia e Stato. A 19 anni dalla strage di via D'Amelio, le indagini della Dia di Caltanissetta sono arrivate a una svolta decisiva
(14 luglio 2011) Un'immagine d'archivio del boss mafioso Giuseppe GravianoIl boia di Paolo Borsellino e dei suoi agenti di scorta si chiama Giuseppe Graviano, il boss di Brancaccio che secondo il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza dopo l'attentato di via d'Amelio avrebbe trattato direttamente con Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri.
Il pool di magistrati di Caltanissetta, guidato da Sergio Lari, dopo tre anni di indagini ha chiuso l'inchiesta individuando l'uomo che ha premuto il telecomando dell'autobomba carica di tritolo. E oggi offre una nuova verità giudiziaria che porterà il prossimo mese alla revisione delle sentenze definitive: verranno riaperti quei processi basati sulle dichiarazioni di falsi pentiti, come Vincenzo Scarantino, che hanno fatto finire all'ergastolo anche cinque persone estranee ai fatti.
I magistrati, grazie alla collaborazione di Spatuzza (senza le cui dichiarazioni, riscontrate in tutti i punti, non sarebbe stato possibile avviare la nuova inchiesta) e Fabio Tranchina, un fedelissimo di Graviano arrestato nei mesi scorsi, sono riusciti a trovare le tessere del mosaico che per 19 anni avevano impedito di ricostruire la trama dell'attentato. Lo hanno fatto adesso Sergio Lari, Domenico Gozzo, Amedeo Bertone, Nicolò Marino, Stefano Luciani e Gabriele Paci.
Le indagini svolte dalla Dia di Caltanissetta sono riuscite a dare risposte ad alcuni interrogativi sempre rimasti irrisolti: dalla responsabilità di soggetti esterni a Cosa nostra, ai motivi per cui venne attuata la strage di via D'Amelio a soli 57 giorni di distanza da quella di Capaci in cui morirono Giovanni Falcone e la sua scorta. Un'accelerazione decisa per impedire che Borsellino ostacolasse la trattativa che era in corso tra corleonesi e uomini dello Stato.
Con l'istanza di revisione che i pm hanno consegnato al procuratore generale Roberto Scarpinato è stato accertato chi ha rubato l'auto, chi l'ha imbottita di tritolo e sistemata davanti al palazzo in cui abitava la mamma del magistrato. Graviano ha poi spinto il telecomando, appostato dietro un muro che separa via d'Amelio da un giardino.
E' stata così esclusa la pista del Castello Utveggio e di un coinvolgimento, in questa fase operativa, di apparati dei servizi segreti. Oggi invece emerge la ricostruzione di un'operazione voluta da Totò Riina ed eseguita da Graviano e suoi picciotti fidati. Ma i pm proseguono le indagini su altri versanti: sull'agenda sparita, sui "soggetti esterni" a Cosa nostra e del boss latitante Matteo Messina Denaro. E allo sviluppo di una nuova dichiarazione fatta dal neo pentito palermitano Stefano Lo Verso, che per 12 anni curò la latitanza di Bernardo Provenzano.
"Solo cinque persone conoscono la vera storia delle stragi", gli avrebbe confidato il vecchio padrino. "Due sono morte. Gli altri tre siamo io, Riina e Giulio Andreotti". E nelle migliaia di atti dell'indagine ci sono anche le testimonianze delle figure istituzionali chiave di quel periodo.