Sono solo le 11 ed una folla compatta si accalca già alle porte dell'ospedale con telefonini e macchine fotografiche. All'accoglienza, una giovane donna velata rassicura i giornalisti sulla natura dei traumi: “Essenzialmente si tratta di ferite superficiali e di fratture.” Alle sue spalle, un'infermiera con una croce al collo esprime dissenso e aggrotta la fronte: “Ferite al capo, volti schiacciati irriconoscibili, cadaveri impossibili da identificare, cervelli portati qui in fazzoletti”, sussurra indicando col mento il locale che serve da obitorio. Vi giacciono sette corpi sotto lenzuola umide, in sacchi di plastica pieni di ghiaccio. Diversi sono per terra, con attorno del sangue ormai secco. I volti sono tumefatti e certi completamente schiacciati. Thérèse Qallin è venuta a vedere il cadavere di suo nipote. “Il cervello è uscito dalla testa, le braccia e le mani sono completamente rotte e il busto è a brandelli. Aveva 40 anni. Si chiama Ayman Sabri. Scriva! Scriva! Fotografi! I media del nostro paese ci ignorano!”, denuncia. Su richiesta di molte famiglie, vengono praticate autopsie su 14 corpi, che porteranno al termine della giornata ad una constatazione schiacciante: tre morti per raffiche di spari e 11 per schiacciamento sotto cingolati di mezzi blindati. Al di là dei lamenti, le testimonianze vanno tutte nel senso dell'accusa all'esercito egiziano di aver perpetrato un crimine organizzato contro manifestanti pacifici, venuti a chiedere una protezione rafforzata della polizia e della giustizia e l'instaurazione di una legge che permetta loro di costruire delle chiese senza autorizzazione presidenziale. I video che circolano sulle reti sociali mostrano blindati che caricano la folla, corpi perforati da pallottole o sgozzati. Diverse persone affermano di aver visto dei militari gettare dei cadaveri nel Nilo. “Era una manifestazione pacifica”, assicura Azza, che si è unita al corteo domenica verso le 17. “La gente non era capace neanche di rigettare indietro un lacrimogeno. L'esercito ha lasciato che i manifestanti si posizionassero davanti al palazzo della televisione di Stato, e poi li ha assaliti da tutte le parti. Ha sparato nel mucchio, e dei carri sono avanzati sopra la gente”, continua, con un singhiozzo.
Secondo i testimoni, i manifestanti sarebbero stati, prima, bersaglio di lanci di pietre durante il percorso attraverso la città, dall'argine del Nilo fino alla sede della televisione di Stato (Maspero), davanti alla quale si sono piazzati verso le 16,30. Sopraffatto dall'affluenza, l'esercito avrebbe attaccato il sit-in verso le 18, ai soldati si sarebbero uniti più tardi da poliziotti in civile e circa 3000 baltagiya (“uomini di mano”), arrivati dal quartiere di Bulaq, dietro a Maspero. Questi ultimi sisono poi sparsi per la città, malmenando i copti, sembra con la complicità dei militari. Hani Bushra, un copto di nazionalità americana, affrontato domenica sera da un gruppo di 30 persone pronte a linciarlo, afferma di aver visto l'esercito collaborare con dei gruppi di baltagiya che fermavano dei copti per picchiarli gridando: “Cristiani, dove siete? L'islam è qui!” Rompendo un pesante silenzio, la CSFA ha presentato lunedì le condoglianze alle famiglie delle
vittime, imputando però la responsabilità degli avvenimenti – che avrebbero causato la morte di tre militari – a “fautori di tumulti non identificati”. “Rifiuteremo sempre di rispondere a tali provocazioni che mirano a seminare la discordia tra l'esercito e il popolo”, dice il comunicato ufficiale, diffuso dalla televisione nazionale. Il gabinetto del primo ministro è stato anche incaricato di organizzare una commissione d'inchiesta. I copti del movimento Maspero reclamano oggi l'arresto degli ufficiali responsabili dell'attacco. Ma si scontrano con l'incredulità di una larga parte della popolazione poco incline a mettere in discussione l'esercito. In base ad un sondaggio realizzato lunedì nel centro città, il quotidiano
indipendente Al-Masry Al-Youm scriveva che “il cittadino egiziano onorevole”, attribuisce la responsabilità delle violenze di preferenza a “dei cacicchi del vecchio regime” e a “mani straniere”. O ai copti stessi
di Claire Talon in “Le Monde” del 12 ottobre 2011 (traduzione: www.finesettimana.org)